L’allenamento mentale diventa strategico: a scuola dai professionisti

Questo mese l’articolo della rubrica ISMCA è di Cecilia Morini, psicologa, psicoterapeuta strategica e psicologa dello sport. Laureata in psicologia Clinica, nel 2002 decide di dedicarsi alla psicoterapia, specializzandosi in Terapia Breve Strategica. Si occupa di psicologia dello sport da più di dieci anni (Master in Psicologia dello Sport nel 2010), applicando da sempre l’approccio strategico. Nel frattempo ha approfondito anche l’utilizzo delle tecniche yoga nello sport, ampliando la sua formazione all’ambito delle neuroscienze e diventando yogatherapist. Mental Coach certificato dalla FIT, in ambito tennistico collabora da diversi anni con Alberto Castellani: è infatti membro GPTCA e fa attualmente parte del comitato scientifico della ISMCA. Lavora con atleti di alto livello dal 2011, tra i quali cui spiccano i nomi di Arianna Errigo (bi-campionessa mondiale e vice campionessa olimpica di fioretto individuale e medaglia d’oro nel fioretto a squadre alle Olimpiadi di Londra 2012) e Matteo Piano (vice campione olimpico nella pallavolo maschile alle Olimpiadi di Rio 2016).

Da oltre 10 anni seguo gli atleti come psicologa dello sport. La mia formazione di psicoterapeuta strategica – unita all’approfondimento di neuroscienze e yoga therapy negli Stati Uniti – mi ha permesso di lavorare con atleti e squadre ad ogni livello. Con loro, spazio dal miglioramento della performance, al superamento di blocchi mentali ed emotivi, fino al trattamento psicoterapeutico breve – se necessario – per favorire il pieno recupero psicofisico e la realizzazione delle loro potenzialità. Ogni programma è altamente individualizzato e costruito su caratteristiche e limiti che l’atleta deve superare o affrontare.

Il mio è sicuramente un osservatorio privilegiato sul mondo dello sport, ma anche della vita personale dei giovani atleti e del loro ciclo di vita. Troppo spesso questi ragazzi sono considerati solo atleti che devono vincere e raggiungere obiettivi sportivi, trascurando quanto sia difficile il loro percorso di vita, se paragonato ai loro coetanei. I giovani atleti, soprattutto i tennisti, sono spesso sradicati dai propri paesi di origine, dalle proprie famiglie, crescono molto in fretta e sono chiamati ad adattarsi continuamente a nuove realtà e a nuove persone, portandosi addosso responsabilità e pressioni. Per me è sempre una grande soddisfazione assistere alla crescita non solo dell’atleta, ma anche della persona. L’esperienza mi ha portato a comprendere quanto la crescita personale di un atleta, la sua maturità fuori dal campo, lo renda capace di accettare le sfide del gioco e della gara. La vita è un gioco e il gioco è la vita; in esso riflettiamo il nostro modo di collaborare, di affrontare le difficoltà, di gestire le emozioni. È fondamentale avere degli strumenti che siano in grado di andare incontro a tali esigenze di crescita e maturazione, oltre all’obiettivo di vincere delle gare.

Perché uso l’approccio strategico

Il modello strategico è il punto di riferimento del mio modus operandi. A
qualunque livello, il fine primario è stimolare
le risorse dell’atleta
, guidandolo a chiarire la natura della difficoltà
che si trova ad affrontare, a individuare
gli obiettivi concreti
che intende raggiungere. Il mio compito è aiutarlo a
focalizzare e a mettere in atto le
strategie più efficaci
per raggiungere il risultato auspicato, quindi, renderlo progressivamente indipendente e
autonomo, nel suo programma di allenamento mentale ed emotivo.

Garbine Muguruza – Roland Garros 2018 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)

Adottare il modello strategico mi consente di mantenere rigore e flessibilità nell’intervento e costruire con l’atleta un programma efficace ed efficiente, ossia raggiungere i risultati in tempi rapidi. La tipologia dell’intervento breve (i risultati si osservano in un arco limitato di tempo) e strategico (mirato ad un obiettivo specifico) è molto adatta alle necessità degli atleti, perché in grado di favorire significativi cambiamenti, osservabili entro i primi incontri, grazie ad un approccio attivo e prescrittivo molto focale. Spesso gli atleti manifestano sintomi in prossimità della gara, così il rapido e concreto sblocco, la riduzione o il superamento della sintomatologia, consentono loro di acquistare fiducia.

Pur seguendo una metodologia rigorosa, ogni intervento è flessibile e mirato, in modo diretto all’atleta, o indiretto, orientato alla consulenza e supervisione di allenatori, genitori di giovanissimi atleti o società sportive. Nella mia pratica di psicologa dello sport ho inoltre notato che l’approccio strategico si adatta bene alla personalità degli atleti, solitamente collaborativi, concreti, disciplinati, abituati cioè a eseguire un compito e ad allenarsi per creare automatismi funzionali.

Come utilizzo il coaching strategico

Il coaching strategico è
un intervento di breve durata, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo. L’intervento si orienta al miglioramento di una certa capacità di cui l’atleta
ha già appreso i fondamenti tecnici. Tale obiettivo è inscrivibile in due
macro-categorie:

  • il potenziamento di una performance;
  • la rimozione degli ostacoli che ne
    impediscono la realizzazione.

In quest’ottica, assumo il ruolo di partner piuttosto che di esperto; facilito e favorisco la crescita personale dell’atleta, stimolandone il cambiamento nella direzione desiderata. Ciò significa concretamente scegliere gli strumenti più opportuni da fornire all’atleta, perché possa incrementare la sua capacità di osservare e rilevare i comportamenti non funzionali, al fine di correggerli. Nell’intervento di coaching guido ogni atleta ad imparare come diventare un problem solver, ad incrementare la motivazione al cambiamento e la flessibilità di azione, sviluppando nuove abilità e strategie, al fine di ottenere il cambiamento con il minimo sforzo. In altre parole, da coach metto al servizio dello sport e dell’atleta la mia conoscenza operativa, orientata al cambiamento migliorativo.

Come avviene il cambiamento

Gran parte delle problematiche, riguardanti gli atleti, sono strettamente legate ai disturbi fobico-ossessivi, in modo particolare al blocco della performance. In questi casi applico gli specifici protocolli di trattamento, propri dell’approccio strategico. Un protocollo di trattamento è una strategia d’intervento composta da un insieme di linee-guida formalizzate e autocorrettive in grado di adattarsi e modificarsi costantemente durante il percorso. Pur applicando la stessa strategia di intervento usata in ambito clinico, l’interazione, la relazione ed il tipo di comunicazione che uso, si adatta al contesto e alla personalità dell’atleta.

Solitamente le situazioni problematiche portate da atleti in difficoltà non corrispondono ad aspetti psicopatologici dell’individuo, ma a difficoltà che si trasformano in un problema, spesso circoscritto all’ambito sportivo, in seguito tentativi falliti nel risolverle. L’utilizzo del modello di problem solving strategico è ciò che guida il mio lavoro con l’atleta. Uso un modello scientifico, empirico-sperimentale: conoscere il problema attraverso la ricerca della soluzione.

Simona Halep – Roland Garros 2017 (foto @Gianni Ciaccia)

Concretamente, quando una persona bussa alla porta del mio studio per la prima volta parto dal definire il problema o la situazione da migliorare, cercando di individuarle attraverso descrizioni concrete ed esempi pratici.

  • Definiremo insieme un obiettivo concreto, che non sarà solo
    quello di vincere, ma articoleremo questa meta, suddividendola in piccole tappe, che renderanno l’atleta
    ogni giorno più forte e fiducioso del proprio percorso.
  • Analizzeremo
    le Tentate Soluzioni, ciò che
    l’atleta ha provato a fare fino a quel momento e non ha prodotto risultati o ha
    portato peggioramenti. L’analisi serve a rendere l’atleta consapevole di ciò
    che andrà evitato, per uscire dalla situazione problematica e cominciare a
    migliorarla.
  • Andremo a trovare e valorizzare
    eventuali eccezioni positive, quasi
    sempre presenti ma spesso poco evidenziate, per mettere in luce le risorse di
    cui l’atleta dispone.
  • Inizierò
    a fornire prescrizioni mirate a risolvere il problema o le difficoltà,
    attraverso stratagemmi e tecniche comunicative, orientate a far cambiare la
    percezione all’atleta e a produrre in lui esperienze emozionali correttive.

Una delle peculiarità di questo metodo consiste nel partire dall’esistente, da ciò che l’atleta fa, per correggere progressivamente ciò che non funziona, sostituendolo con comportamenti e modalità più efficaci. Dall’utilizzo di esercizi concreti, che seguono una logica non ordinaria, finalizzata al produrre cambiamenti, l’atleta può relazionarsi diversamente con la situazione critica, vivere un’esperienza diversa che lo porterà ad un modo diverso di percepire se stesso e la sua prestazione. Tale trasformazione, definita esperienza emozionale correttiva, guiderà gradualmente l’atleta verso il cambiamento, che sarà progressivamente consolidato dall’allenamento per arrivare in fine alla piena consapevolezza degli strumenti utilizzati e del cambiamento realizzato.

In questo modo, al termine del percorso l’atleta si sentirà pronto per affrontare le sue paure, per saltare i suoi ostacoli, per migliorare la prestazione, come atleta e come persona. Avrà gli strumenti per farlo e la capacità di saperli utilizzare all’occorrenza e in autonomia. L’atleta non sarà una marionetta nelle mani del coach, ma una persona indipendente, capace di adattarsi e di cambiare strategia all’occorrenza e se cadrà, saprà rialzarsi. Se dovesse perdere di nuovo la strada, avrà la capacità di riconoscerlo in tempo, di comprendere e accettare le proprie debolezze e chiedere aiuto con fiducia e coraggio.

Ecco ciò che faccio e ciò che
guida il mio lavoro nella valorizzazione del talento degli atleti e delle loro
risorse.

Riferimenti bibliografici
R. Milanese, P. Mordazzi – Coaching strategico. Trasformare i limiti in risorse
M. Rampin –  Lo sport dal collo in su
G. Nardone – Problem solving strategico da tasca
G. Nardone – Oltre i limiti della paura
P. Watzlawick, G. Nardone – Terapia Breve Strategica