Le 79 settimane che separano Federer e Djokovic
Ancor più quando il circuito professionistico è fermo, l’appassionato medio cerca di tenere viva la sua passione con discussioni, non importa se velleitarie. Conta anche ben poco se si farà sempre estrema fatica a dare a queste domande una risposta certa e univoca: in fondo, quel che importa, è sognare grazie al tennis e ai ricordi delle splendide emozioni che i suoi campioni sanno suscitare.
Da sempre, una delle diatribe più popolari è senz’altro quella sull’identità del GOAT, l’acronimo di “Greatest Of All Times”, il più grande di tutti i tempi. In realtà ha poco senso paragonare campioni di epoche diverse che hanno espresso il loro immenso talento con attrezzi dalla resa differente, supportati peraltro da conoscenze mediche, livelli di professionismo e calendari tennistici diversi. Anche il tennis, così come altri sport e campi dell’intrattenimento e della cultura, non si sottrae però a questa discussione, nella quale non intendiamo inoltrarci con ulteriori pareri. Ci preme però evidenziare come il 2019 alle porte potrebbe, con la sua evoluzione, introdurre qualche interessante dato relativo al tennis dell’Era Open, che non faccia più convergere tutti gli indizi sullo stesso candidato al GOAT, come accade ancora adesso.
Come noto, tra i parametri più utilizzati e universalmente riconosciuti per provare a stabilire chi sia stato il più grande nel tennis, quello di contare il numero dei tornei del Grande Slam vinti ha avuto sempre una grande importanza. Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open sono infatti i tornei più prestigiosi e difficili da mettere in bacheca per ogni tennista: basti pensare che per arrivare alla vittoria di uno di questi occorre vincere sette partite, giocate al meglio dei tre set su cinque. Tra questi e gli altri tornei ci sono state sempre differenze analoghe, acuitesi negli anni: attualmente, nella categoria immediatamente inferiore ai Major, i Masters 1000, per vincere il titolo sono al massimo sei (quasi sempre cinque se si è tra le prime otto teste di serie) i match necessari, giocati peraltro sulla più breve distanza dei tre set.
La classifica relativa al numero dei Major vinti, come tutti sanno, vede in testa Roger Federer, con 20 tornei conquistati tra il 2003 e il 2018, seguito da Rafael Nadal con 17 e, al terzo gradino del podio, Pete Sampras e Novak Djokovic, giunti a 14 successi. Lo svizzero nato a Basilea nell’agosto del 1981, nella classe regina dei tornei tennistici è anche primatista nel numero di finali (30, seguito da Nadal con 24 e Djokovic con 23), di semifinali (43, davanti al serbo con 33 e a Jimmy Connors con 31) e quarti (ben 53, seguito poi da Djokovic con 42 e ancora Connors, con 41). Federer è anche al primo posto nel numero di partecipazioni nei Major (74) e, soprattutto, nella quantità di partite vinte (339, con Djokovic secondo a 258 e Nadal, terzo, fermo a 247). Come si è detto varie volte, si tratta di record difficilmente superabili, in particolare quello relativo ai venti titoli del Grande Slam (che è anche il più importante tra quelli sopra elencati).
La suddetta complessità nel vincerli – per l’entry list completa di tutti i migliori giocatori, per il numero di partite da affrontare e di ore spese in campo, per le tra loro diverse condizioni di gioco che si vanno ad affrontare nel corso delle due settimane (orari in cui si è campo, differente visibilità, temperatura, vento) – è sempre stata considerata come un indicatore indispensabile per determinare la grandezza di un tennista. La classifica del numero di Slam vinti è però pesantemente falsata dall’impossibilità – sino al maggio del 1968, quando il Roland Garros fu il primo grande torneo a divenire Open – di partecipare ai Major per i tennisti che, legittimamente attratti dai soldi, abbandonavano il tennis fintamente dilettantistico quale si professava quello di chi partecipava al circuito, divenendo professionisti. Tra questi, per citare alcuni tra i più tennisti più forti passati pro nei soli anni Sessanta, Lew Hoad, Pancho Gonzales, Ken Rosewall e soprattutto, Rod Laver. L’autraliano classe 1938, è l’unico nella storia ad aver per due volte (1962 e 1969) completato il Grande Slam, la vittoria nello stesso anno dei quattro tornei Major (e anche l’ultimo a esserci riuscito, dopo che il primo a compiere l’impresa era stato lo statunitense Donald Budge nel 1938). Rimarrà per sempre il dubbio su quanti Major avrebbe potuto conquistare se non avesse rinunciato a parteciparvi per cinque lunghi anni, tra il 1963 e il 1968, quando era all’apice della sua carriera.
Tuttavia, la capacità di essere il più forte non può in alcun caso prescindere dalla sua permanenza complessiva al numero 1 delle classifiche, che determina la capacità di un tennista di dominare a lungo i suoi rivali diretti. Un indice meno affascinante – visto che non ci sono colpi spettacolari, coppe alzate al cielo o particolari esultanze da associare nella memoria – ma estremamente importante dal punto di vista tecnico. Va però premesso che anche questo dato, come la classifica degli Slam vinti, è falsato da due considerazioni. La prima, indispensabile dal punto di vista logico, richiede la citazione del maestro Rino Tommasi: “Il computer sa fare di conto, ma non conosce il tennis”. La seconda è storica: prima dell’agosto 1973 non c’era un computer a determinare le classifiche ufficiali (che solo dal 1979 sono state diramate settimanalmente), ma solo una giuria di giornalisti che periodicamente – e ovviamente senza criteri oggettivi – comunicava il ranking che poi permetteva ai giocatori di accedere ai tornei. In tal modo, da questa considerazione sui numeri 1 sono esclusi tutti i grandissimi tennisti giunti all’apice della loro carriera prima di 45 anni fa.
Federer ha un grandissimo vantaggio anche nel numero di settimane consecutive in cui è rimasto al numero 1 del mondo, ben 237, corrispondenti al periodo che va dal 2 febbraio 2004 (quando vinse a Melbourne, in finale su Marat Safin, il secondo Slam della sua carriera) al 17 agosto 2008. In quella data cedette lo scettro del comando a Rafa Nadal, la settimana precedente vincitore dell’oro olimpico a Pechino e quell’anno dominatore di Roland Garros e Wimbledon (tutti ricordano la splendida finale vinta dallo spagnolo al quinto set contro Federer). In quei quattro anni e mezzo consecutivi che lo videro al numero 1 del mondo, Roger fu praticamente ingiocabile: vinse 355 delle 381 partite giocate, corrispondente a una percentuale di successo superiore al 93%, incredibile per il così elevato numero di partite giocate e per il lunghissimo lasso temporale.
Tuttavia, proprio nel numero complessivo di settimane al numero 1 del mondo, Federer, che pure gode ancora di buonissimo vantaggio, rischia di perdere il comando. Un pericolo non vicino, ma comunque concreto. Guardando la graduatoria aggiornata al 30 dicembre 2018, infatti, ci si accorge che Roger è primo con 310 settimane, seguito da Pete Sampras (270), Ivan Lendl (270), Jimmy Connors (268), Novak Djokovic (230), Rafael Nadal (169). Sembra molto difficile che lo spagnolo possa puntare al primo posto di questa particolare graduatoria, sebbene il tennis di questi ultimi anni abbia abituato a sorprendere grandemente. Alzi la mano ad esempio chi poteva immaginare che Federer, dopo il suo deficitario e sfortunato 2016, sarebbe tornato lo scorso febbraio in vetta alla classifica, aggiungendo agli innumerevoli record quello di numero 1 più anziano di sempre a 36 anni e 195 giorni, nonché di tennista a esserci riuscito a maggior tempo di distanza dalla prima volta, più di 14 stagioni.
I 32 anni e mezzo – e soprattutto i continui infortuni in cui il maiorchino incorre purtroppo sempre più spesso – sembrano precludergli la possibilità di avere un prosieguo di carriera tale da consentirgli di essere ancora, per più di tre anni, come gli servirebbe, al numero 1 del ranking ATP. Diversa, rispetto a quella di Nadal, la situazione riguardante Novak Djokovic, che inizierà il 2019 distanziato da Federer di “appena” 79 settimane da primo giocatore al mondo, corrispondenti grosso modo a un anno e mezzo. Il serbo visto nella seconda metà del 2018 -capace di vincere 39 delle ultime 43 partite della sua stagione e riconquistare in sei mesi il numero 1 -, potrebbe anche farcela in tal senso. Nole, dopo essere uscito a giugno per la prima volta dalla top 20, terminando 11 anni e mezzo di permanenza ininterrotta, è stato poi per lunghi tratti ingiocabile negli ultimi mesi, riconquistando la vetta della classifica a fine ottobre, dopo la finale ottenuta a Parigi Bercy.
Al momento, non sembra ci sia per lui una grande concorrenza capace di giocare a lungo ad altissimo livello: Federer, Nadal e lo stesso Murray (negli ultimi 15 anni i Fab Four si sono divisi in esclusiva la vetta del ranking ATP) sono limitati dall’età che inesorabilmente avanza, lo sfortunato Del Potro è spesse volte ai box, la Next Gen è ancora immatura (il miglior under 23 in classifica, Alexander Zverev, ha vinto le ATP Finals, ma ancora vanta un solo quarto nei tornei del Grande Slam). Il 31 enne serbo, invece, sembra aver ritrovato una forma psico-fisica tale da farlo ritenere il più probabile numero 1 a fine 2019. Soprattutto, sarà quasi impossibile scalzarlo dalla testa del ranking ATP nella prima parte della prossima stagione: fino a metà giugno difende la miseria di appena 700 punti ed è anzi probabile che il suo vantaggio incrementi, consentendogli di affrontare in ogni caso la seconda parte del 2019 con un ranking che lo proteggerebbe da difficili tabelloni.
Insomma, non sembra irrealistico ipotizzare di ritrovarci tra un anno con Novak vincitore di almeno un paio di Major e ulteriori 52 settimane in cima al ranking: in tal caso, Djokovic si troverebbe a una manciata di titoli Major da Federer e, soprattutto, a 27 settimane (sei mesi) dal superarlo come tennista rimasto per più tempo al numero 1 della classifica. Sebbene sia una statistica da prendere con le molle (nei primi tempi in cui si affrontavano Nole non era al meglio del suo tennis, così come negli ultimi anni non lo è stato Roger) anche considerando che al momento il serbo è anche avanti negli scontri diretti totali (25- 22) rispetto allo svizzero, la discussione sul GOAT – va ripetuto, velleitaria – potrebbe clamorosamente riaprirsi. Tra l’altro, Nole conduce gli head to head su varie superfici: erba, cemento all’aperto e duro indoor e sono in parità, quattro pari, solo le sfide giocate sulla terra battita.
Chi ama il tennis si augura in realtà solo che campioni straordinari come i Fab 4 tornino tutti in salute nel 2019, regalando, assieme alla definitiva esplosione dei giovani, tante indimenticabili partite. Non resta che aspettare pochi giorni: l’attesa, per fortuna, sta per finire.