Quali match possono competere con le 6 ore e 36 minuti di Anderson-Isner?

Forse tutti gli spettatori ieri, nel veder protrarsi il quinto set tra Anderson e Isner, hanno rivolto un pensiero al match tra Isner e Mahut disputatosi nel 2010 sempre a Wimbledon (qui la cronaca del direttore) e denominata “partita dei record” per via di tutte le statistiche infrante a partire da quelle di durata. Sarebbe invece curioso sapere quante, tra le persone che hanno ripensato a quell’evento, speravano che si ripetesse ieri sul centrale. Probabilmente in pochi, sicuramente nessuno tra i tifosi di Djokovic e Nadal. Tra coloro che hanno fatto di tutto per evitare di giungere ancora una volta al 70-68 c’era John Isner il quale tuttavia non ha evitato la sconfitta, assaporando così la stessa medicina – questa ancora più amara essendo una semifinale – che somministrò al francese Nicolas Mahut dieci anni fa. Anche se la vittoria di Anderson 26-24 al quinto non ha superato quello storico incontro (con tanto di targa commemorativa sul campo 18) ha comunque smosso non poco le statistiche ed è quindi necessario ritoccare qualche numero.

Come riporta Luca Marianantoni sulla Gazzetta dello Sport, con 6 ore e 36 minuti quella di ieri è stata la seconda partita più lunga della storia di Wimbledon, superando di gran lunga la semifinale del 2013 tra Djokovic e del Potro vinta dal serbo in 4 ore e 44 minuti. Se si passa al conteggi dei game, che ieri sono stati 99, si raggiunge il terzo posto dopo i 183 di Isner-Mahut e i 112 necessari a Panche Gonzales per battere Charly Pasarell nel primo turno del 1969 (all’epoca senza tie-break). Restando a livello Slam, il sudafricano e lo statunitense hanno dato vita alla seconda partita più lunga, restando in campo 3 minuti in più rispetto a Fabrice Santoro e Arnaud Clement (primo turno del Roland Garros 2004), 43 minuti in più rispetto a Djokovic e Nadal (finale degli Australian Open del 2012) e 70 minuti in più rispetto a Edberg e Chang (semifinale degli US Open 1992).

Allargando il discorso alla Coppa Davis, il numero di partite-maratone aumenta notevolmente o per lo meno ha continuato ad aumentare fino all’epica sfida tra Leo Mayer e Joao Sousa rimasti in campo per 6 ore e 43 minuti – in un’unica giornata – nel 2015. Sia l’argentino vittorioso per 15-13 che il portoghese, a fine match, esternarono energicamente il loro disappunto per aver dovuto giocare un match tanto pericoloso per il fisico e la risposta della ITF non si è fatta attendere. Nel giro di poche settimane fu presa la decisione di introdurre il tie-break nel set decisivo, regola estesa anche ai match di doppio, evitando così il ripetersi di partite simili a quella giocata da Berdych e Rosol contro Wawrinka e Chiudinelli, con i cechi vincenti dopo 7 ore e 2 minuti per 24-22.

Da tempo ormai si discute di una possibile introduzione del tie-break nel quinto set anche negli Slam (dove al momento è presente solo a New York) anche per permettere uno svolgimento più snello del programma e ieri il dibattito è tornato ad accendersi. In Italia invece non si hanno di questi problemi se si pensa che i match più lunghi disputatisi entro i nostri confini superano di poco le cinque ore e sono due finali degli Internazionali di Roma, quando ancora le finali si giocavano al meglio dei cinque set: quella del 2005 vinta da Nadal su Coria in 5 ore e 14 minuti e quella del 2006 vinta sempre dal maiorchino su Federer in 5 ore e 5 minuti.