Djokovic, addio pure a Stepanek. Lendl con Zverev? (Crivelli). Noah: “Il mio cuore diviso a metà tra Africa ed Europa” (Paglieri). Italia, il futuro passa dagli “sconfinati” della Francia (Azzolini)

Djokovic, addio pure a Stepanek. Lendl con Zverev? (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport 05/04/2018)

Un altro giro di giostra. E chissà se Djokovic un giorno sarà in grado di scendere e comprendere finalmente se il valzer malinconico cui si sta sottoponendo da nove mesi richiede soluzioni tecniche oppure mentali. Intanto, l’ex numero uno del mondo, quattro giorni dopo l’addio del superconsulente Andre Agassi, annuncia la separazione pure da coach Stepanek, il ceco ingaggiato a fine novembre e suo compagno d’avventura solo per tre tornei: Australian Open, Indian Wells e Miami. Un sintomo ulteriore del momento delicato del Djoker, che sembra davvero smarrito tra la foga di voler provare a essere ancora competitivo forzando i tempi del recupero e la consapevolezza di un interesse quantomeno mutato verso il tennis. Nole ha affidato la notizia del divorzio a un comunicato social abbastanza impersonale: “Dopo il torneo di Miami, Novak Djokovic e il suo coach Radek Stepanek hanno deciso di terminare la loro collaborazione. I rapporti privati con Stepanek rimangono ottimi, e Novak ha apprezzato il lavoro svolto e il fatto di aver potuto imparare da lui; gli rimarrà grato e riconoscente per tutto il sostegno che ha ricevuto da Radek nel recente periodo. Novak è concentrato sull’obiettivo di tornare forte dopo un lungo periodo di stop per infortunio che ha inficiato la sua fiducia e il suo gioco, e cerca con passione di trovare nuove e diverse strade per ritornare a vincere. Djokovic beneficerà di una breve vacanza con la famiglia prima di iniziare la preparazione in vista della stagione su terra battuta. Anche la collaborazione tra Novak e Andre Agassi si è conclusa”. A parte la freddezza con cui viene liquidato il rapporto con l’ex Kid di Las Vegas, niente lascia intendere quali saranno le scelte immediate. I media serbi spingono per un ritorno dello storico coach Vajda, ma intanto Novak, ora numero 13, nella stagione su terra (dovrebbe tornare a Montecarlo) difende ben 1500 punti dei 2310 che ha in classifica. TAddirittura, la possibilità che Ivan Lendl voglia rimettersi su piazza ha lasciato per aria suggestioni al momento senza sostegno, anche perché il vincitore di otto Slam in questi giorni è stato accostato a Zverev. È bastato che il ceco ormai americano apparisse a un match del Next Gen a Miami (Ivan vive in Florida, peraltro) per far volare la fantasia, ma sicuramente sussistono fondamenti tecnici e al momento Sascha, abbandonato Ferrero, si è affidato al fratello. Lendl, alla guida di Murray (nel loro primo connubio, più che nel secondo), gli ha affinato la dote che fin qui è mancata al talentuoso tedesco, cioè la capacità di affrontare con la mentalità e l’approccio corretto i tornei dello Slam. Si tratterebbe di un impegno part time (ha rifiutato di seguire Berdych che gli chiedeva il tempo pieno) che consentirebbe a Sascha di non troncare di netto i legami con la famiglia (il padre primo coach, la madre dietologa e fisioterapista e il fratello tutor-compagno di allenamenti), anche se la severità di Ivan è risaputa… [SEGUE].


Noah: “Il mio cuore diviso a metà tra Africa ed Europa” (Claudio Paglieri, Secolo XIX 05/04/2018)

A uno che si chiama Noah, un po’ di pioggia che disturba gli allenamenti dei suoi tennisti non può certo fare paura. Gliene fa di più, invece, vedere migranti che cercano di raggiungere l’Europa via mare, e vorrebbe forse avere a disposizione un’Arca, come il suo omonimo biblico, per portarli in salvo. “Ho due famiglie, una al di qua e una al di là di questi due mondi – dice a proposito dei fatti di Bardonecchia, l’irruzione dei gendarmi francesi, l’accresciuta tensione tra Italia e Francia – e riguardo ai migranti quello che sta accadendo mi addolora, mi fa molto arrabbiare. Ma noi siamo atleti, non siamo politici”. Qualcosa si può fare, comunque: “Come atleta vorrei poter aiutare, contribuire a creare un mondo migliore. In questi giorni siamo qui a Genova perla Coppa Davis ed è giusto ricordare che questo è un evento speciale, nato proprio per favorire l’amicizia, il contatto tra i popoli”. E con l’Italia, assicura il capitano della squadra francese, il rapporto è particolarmente stretto: “Amo tornare in Italia, alla quale mi legano tanti bellissimi ricordi. Ho cominciato qui la mia carriera, giocando dei tornei satellite”[SEGUE]… nato in Francia nel 1960 da padre del Camerun, calciatore, e madre francese, è cresciuto in Africa fino agli 11 anni, quando Artur Ashe, il primo nero a vincere US Open, Wimbledon e Roland Garros, convinse la famiglia a rimandarlo in Francia per diventare un campione di tennis. Scommessa vinta, perché Yannick nel 1983 sarebbe diventato il secondo (e finora ultimo) nero a vincere a Parigi. Cittadino del mondo, sposato con una Miss Svezia, ha avuto da lei il figlio Joakim, campione di basket NBA, che ha fondato – indovinate un po’ – una Noah’s Arc Foundation per aiutare i bambini poveri di Chicago. Tutto torna, insomma, anche le sfide con Barazzutti, così diverso da lui in campo e fuori. “Voglio bene a Corrado, è bello ritrovarci come capitani. Di partite ne ricordo una che preferirei dimenticare. Una sconfitta mi pare a Bologna nell’81. C’era la Francia che si giocava la qualificazione mondiale contro l’Olanda, scappai a Parigi a vederla. Segnarono Platini e Six, grande festa. Tornai a Bologna e Corrado mi aspettava. Mi massacrò”. In realtà fu 6-4 7-6, ma forse il senso di colpa gli fa ricordare una figura peggiore di quella che fece. Perché Noah è molto serio, sul lavoro, ma gli piace scherzare e fare casino, come l’altra sera (tarda sera) al ristorante della Foce dove insieme ad altri componenti dello staff francese ha apprezzato il cibo e il vino locale, per poi cantare a squarciagola la Marsigliese. Quanto alla sfida con l’Italia, da buon capitano non piange sui tanti assenti (Gasquet, Tsonga, Monflls) ma esalta le qualità dei presenti: “Noi abbiamo 8-10 giocatori intercambiabili, Chardy arriva da due ottimi tornei in America ed è in fiducia, ha un gioco che si adatta facilmente anche alla terra”. E l’Italia? “Fognini è molto forte, ha giocato un grande primo turno contro il Giappone, ma non sarà Francia contro Fognini. Abbiamo grande rispetto di tutta l’Italia, anche il loro numero 2, chiunque sarà, giocherà in casa con un grande supporto del pubblico e senza pressione, dunque in condizioni ideali”. Piove ancora, Noah non si preoccupa: “Siamo abituati a queste situazioni. Ci siamo allenati al Tennis Club, che ha 120 anni di storia, e qui a Valletta il circolo è bellissimo. Non vedo l’ora di godermelo con il sole, e con il pubblico nello stadio. Ci sarà un’atmosfera speciale, e sarà un match tirato fino alla fine”.


Stasera arriva la Fognini family (Secolo XIX 05/04/2018)

Giornata speciale quella di Fabio Fognini, che a causa della pioggia ha dovuto traslocare da Valletta Cambiaso e andare ad allenarsi al Park Tennis, il “suo” circolo con il quale ha giocato diversi campionati di Serie A. In mattinata Fognini è rimasto un paio d’ore in palestra insieme a Simone Bolelli e Andreas Seppi, assistiti dagli inseparabili preparatori della FIT appositamente giunti da Tirrenia. L’arrivo degli azzurri ha entusiasmato i soci che, vista la brutta giornata, si erano recati in palestra mai più pensando di poter incrociare tra gli attrezzi atleti di quel calibro. Essendo Fabio di casa, il clima è stato molto rilassato e aperto alle battute scherzose. Poi mentre Bolelli e Seppi raggiungevano i palloni per l’allenamento, Fabio è andato via per compiere alcuni accertamenti fisici. Il campione di Arma di Taggia è tornato al circolo nel pomeriggio e dopo un breve riscaldamento in palestra è sceso in campo con Matteo Berrettini, il giovane “quinto uomo” convocato dalla FIT e del quale capitan Barazzutti sembra molto contento, tanto che ha detto sorridendo “rischia di essere chiamato ancora”. Diversi soci hanno notato che Fognini aveva il ginocchio fasciato, e sapendo che a fine 2017 ha sofferto parecchi fastidi si sono preoccupati. Ma probabilmente si è trattato solo di normale precauzione, perché Fabio ha assicurato di sentirsi in buona forma e di essere soddisfatto di come sta giocando in questo periodo. Certamente è di ottimo umore e molto contento di giocare questo quarto di finale “a casa”. Questa sera poi arriveranno a sostenerlo la moglie Flavia Pennetta e il piccolo Federico, nato a Barcellona poco più di dieci mesi fa. La famiglia sembra avere contribuito moltissimo alla serenità e alla maggiore continuità di rendimento raggiunta da Fognini in questi ultimi anni. Ma se il Park si è goduto il suo atleta, un grande entusiasmo si è generato al Tennis Club Bogliasco dove ieri pomeriggio gli appassionati di tennis si sono trovati immersi nell’atmosfera della Coppa Davis in modo del tutto inaspettato. Tre atleti internazionali — causa pioggia – sono andati ad allenarsi sui due campi in terra battuta coperti dal pallone. In uno Paolo Lorenzi che per oltre due ore ha giocato in singolo col suo allenatore, nell’altro PierreHugues Herbert e Adrian Mannarino con i loro coach… [SEGUE].


Italia, il futuro passa dagli “sconfinati” della Francia (Daniele Azzolini, Avvenire 05/04/2018)

A volte i francesi sconfinano. Anche nel tennis. E puntualmente s’incavolano: succede dai tempi di Bartali. Sconfinano dalla logica, dai pronostici e dalla Davis, per quanto ci possa sorprendere, dato che si parla di un tennis più vincente del nostro, e certo anche più forte. Però succede, e non è detto che non succeda ancora, a stretto giro. Li ritroviamo dopo ventidue anni dai veleni di Nantes, 1996, e anche quella volta furono loro a far danni. Meglio, fu l’arbitro, signor Wayne McKewen, australiano, o pensionato ma con un passato da supervisor nei tornei del Grand Slam, un “gold-badge” li chiamano nel loro mondo. Accettò senza fare una piega quattro o cinque errori patriottici dei giudici di linea, di quelli che spingono il match in una direzione e gli avversari nell’altra, solitamente verso gli spogliatoi. Adriano Panatta, capitano, prese a scuotere il seggiolone dell’arbitro, forse per rinsavire l’uomo dal badge dorato, più probabilmente per vedere se sapeva anche volare. E fu uno scandalo, perché Panatta a fine incontro doveva ricevere il premio dell’ITF per i servizi resi alla Davis, l’aplomb e la sportività. Due o tre nuovi scossoni tellurici, assestati a McKewen all’uscita dal campo, consigliarono di soprassedere alla consegna del premio. L’Italia era in vantaggio per due a zero e perse tre a due, mai come quella volta recriminando. In palio c’era la finale di Coppa. Oggi siamo a Genova, quarti di finale, sui campi del Valletta Cambiaso. Rossi, malgrado Fognini e Seppi, con il tempo, sembrino apprezzare maggiormente la regolarità del cemento. Ma non sarà la superficie a cambiare il senso del match, quanto l’atteso (promesso) fuoco azzurro, e forse il nuovo sconfinamento dei francesi, nella sfortuna che li ha privati dei due pezzi migliori in quanto a esperienza, Tsonga e Gasquet, e nel malanimo che divide al momento il capitano Yannick Noah dal terzo francese in ordine di maturità tennistica, Gael Monfils, lasciato a casa. Peggio per loro, i due non s’intendono e non sta certo a noi fare da paciere. Ne è sortita, così, una Francia ancora favorita dalla classifica, ma più instabile nel rendimento. Lucas Pouille è il numero 11 ATP, tipo da grandi sbracciate ma anche da improvvisi assopimenti. Adrian Mannarino, numero 25, è invece uomo di ponderosi dubbi, di fatto quasi ritiratosi dal tennis un anno e mezzo fa, poi rientrato decisamente più vispo e concreto di una volta. Il terzo è Pierre-Hugues Herbert (79), che ha comunque il posto fisso in doppio, il quarto Jeremy Chardy (80), un altro che fa a nascondino fra circuito e pensionamento. Ha battuto Fognini a Indian Wells, ai primi di marzo, sfoggiando il suo tennis più classico, quello “senza un perché”: gran botte alla palla, micidiali quando restano in campo, peggio ancora quando costringono i raccattapalle a recuperarle fuori dall’impianto. Infine Mahut, l’uomo che condivide con Isner la targa del match più lungo mai giocato, all’ingresso del court 18 a Wimbledon (undici ore e 5 minuti per tre giorni di match, con l’ultimo set finito 70 a 68, a favore di Isner però). Per fortuna, anche lui qui in veste doppistica. L’Italia è Fognini. Per giunta si gioca in Liguria, la sua terra, e a Genova, dov’è cresciuto a racchettate… [SEGUE]… il «miglior Fognini» è messo bene sulle gambe e tranquillo con se stesso, ma è chiamato a fare tre punti e non è impresa facile, tutt’altro: Pouille è mattocchio ma forte, Mannarino è un lupo solitario e poco prevedibile, e il doppio riproporrà lo scontro fra Fognini-Bolelli e Mahut-Herbert, lo stesso della finale agli Open d’Australia 2015, vinto dai nostri e ricordato come primo e unico titolo Slam nel maschile dal Roland Garros 1976 di Panatta. Poi c’è il quinto uomo, un ragazzo in questo caso. Si chiama Matteo Berrettini, romano, 21 anni. Arriva alla Davis in prova, ma è l’unico che ritroveremo nei prossimi anni, visti i 30 di Fognini, i 34 di Seppi e i 36 di Lorenzi. Ha qualità, e un tennis che lo accosta ai giovani migliori: centimetri, buon servizio, conclusioni rapide in spinta e con il dritto… [SEGUE]. Una vittoria in Davis può far bene. Contro i francesi sconfinanti, anche meglio. Loro hanno vinto la Coppa 10 volte (otto le finali) noi una sola (sei le finali), e sono i campioni in carica. Ma il conto è in parità, 5-5… [SEGUE].