Il giapponese che ama i Led Zeppelin e Woody Allen
Lo diciamo con un pizzico di malizia: invidiamo il Giappone. Non solo per (argomentazione da aperitivo) la loro urbanistica, i trasporti e la capacità di risolvere catastrofi naturali come fossero rompicapo da seconda media. Invidiamo il Giappone, in senso strettamente tennistico, per la coppia Taro Daniel-Naomi Osaka.
Una ventenne col talento balistico di Osaka non si può che invidiare; abbiamo Camila, certo, ma ha sei anni di promesse mancate in più sulle spalle. Più del talento è però la totale leggerezza con cui sembra stare al mondo la giapponese a generare il desiderio di procurarcene una versione italiana. Tra le nuvole in campo, tra le nuvole in conferenza, impacciata sui social, certe volte impacciata persino con la racchetta in mano, è figlia dell’haitiano Leonard e della giapponesissima Tamaki che le hanno donato rispettivamente un po’ di pigmento e un po’ di occhi a mandorla. Facile che l’universo quasi fumettistico in cui vive Naomi Osaka sia diretta espansione della sua (splendida) multiculturalità. Nulla di cui stupirsi quindi se, in conferenza dopo aver battuto Sachia Vickery, Naomi risponde con totale ingenuità ‘Qual è stato il punteggio?‘ alla domanda sulle effettive difficoltà incontrate in campo nonostante il doppio 6-3. Né tantomeno sorprende la risposta ‘Ho fame e sonno‘ quando le viene chiesto se si sente tranquilla o ancora emozionata per la vittoria. Un significativo raggio di luce nella barbosità delle dichiarazioni alla stampa.
Una parte della conferenza della giapponese è riservata al topic del connazionale Taro Daniel, che poche ore prima aveva sconfitto nientemeno che (l’ombra di) Novak Djokovic. “Ho visto il primo set. Poi mi sono messa a giocare a un videogame (altro classico di Naomi, ndr), quindi sono tornata su match e stava vincendo il terzo set 4-1. Mi sono allontanata per cinque minuti e aveva già vinto. Io ero, tipo, ‘ma che è successo?’ È strano perché io parlo con lui su Twitter ma non dal vivo; in quel caso lui arriverebbe, io gli farei un cenno con la testa e lui passerebbe oltre. Penso, ma non lo so. Ho provato a fargli le mie congratulazioni ma tutto quello che mi è riuscito è un cenno del capo. Non capisco perché. Ma a parte tutto, ha fatto un ottimo lavoro“. Anche qui siamo in pieno stile Osaka, che non di rado si è lamentata sui social di non riuscire a inserirsi pienamente nelle dinamiche del circuito, sentendosi quasi sistematicamente a disagio. È esattamente la cifra della sua naturale comicità, del tutto involontaria.
Taro Daniel per ovvi motivi di classifica lo conosciamo meno, mediaticamente parlando. È un giapponese – nato 25 anni fa a New York – atipico, alto più di un metro e novanta e cresciuto sulla terra battuta, in virtù della sua formazione tennistica iberica (ha smesso di allenarsi in Spagna solo lo scorso settembre). Dopo la vittoria contro Nole ha avuto modo di raccontare il suo progetto di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti – già si allena presso la IMG Academy in Florida – e di tratteggiare la sua famiglia, che condivide con quella di Naomi la miscela di sangue e costumi. Papà statunitense, mezzo caucasico mezzo asiatico, e mamma giapponese, di professione assistente di volo. Taro parla fluentemente tre lingue – giapponese, inglese e appunto spagnolo, grazie al quale si rapporta spesso con i tennisti sudamericani – e sorprende tutti quando gli viene chiesto di raccontare qualcosa di sé. È un grande fan dei Led Zeppelin e avrebbe voluto vivere negli anni ’70, ma non solo: “Non credo di essere la persona ideale per rappresentare il Giappone” – afferma sorridendo – “proprio come Naomi, insomma, non siamo due giapponesi tradizionali. Mi piace guardare film, soprattutto quelli di Woody Allen. Tutto quello che mi piace nel cinema e nella musica è piuttosto vintage. È difficile spiegare alla gente come sono realmente“. Conosce i suoi punti di forza (il servizio) e anche i suoi limiti, ma punta alla top 50. Chissà quanti ce ne sono lì che ascoltano ‘Whole Lotta Love‘.