Australian Open: mezzogiorno di fuoco. Troppo caldo davvero?
(da Melbourne, il nostro inviato)
Fognini e Donskoy si sono trascinati per il campo per quattro set. Djokovic e Monfils anche. Berdych e del Potro, che sono ormoni grandi e grossi, hanno fatto più fatica a respirare che a battere Garcia-Lopez e Khachanov. E di tennis ben giocato se ne è visto poco, fino a sera. In giro per Melbourne Park la gente rantolava tra una macchia d’ombra e l’altra. Più di qualcuno si è chiesto se non fosse il caso di implementare la “heat rule”, ovvero la policy che dovrebbe fermare il gioco nel caso faccia troppo caldo. Il problema è che è stata abbandonato, nel 2008, l’approccio rigoroso alla norma. Niente più formula matematica per determinare la cosiddetta “temperatura percepita”, attraverso un insieme di parametri che tengono conto dei gradi, dell’umidità e del vento, ma una quasi totale discrezionalità data agli arbitri.
Considerati i problemi logistici che implica fermare il gioco durante le frenetiche prime giornate di uno Slam, si capisce come la faccenda diventi complicata. Nole ha detto che “certo, è giusto che ci si aspetti che un professionista sia preparato ad affrontare queste condizioni, ma un limite deve esserci, ed è il rischio per la salute”. Lo stesso Fabio, che racconta di amare il caldo, ammette che “oggi era davvero difficile”. Ma il più simpatico è stato Gael. Quando gli hanno riferito le previsioni per i prossimi due giorni, in cui si supereranno i 40 gradi, ha risposto: “Beh, io ho perso, buona fortuna a voi, ragazzi!”
Una cosa è certa, le ore centrali del pomeriggio sono state davvero poco piacevoli per tutti. Una soluzione, magari di compromesso (pause con possibilità di rinfrescarsi tra i set?) sarebbe opportuno trovarla.