L’applicazione metodica su Fognini del bicchiere mezzo vuoto

Partiamo da una premessa, fondamentale per essere ben compresi nel prosieguo del nostro ragionamento: Fabio Fognini, nella sua attività di tennista professionista, non è sempre un esempio da seguire per i giovani. Quando in campo gli capita di rompere le racchette, di dire parolacce, o di litigare con i giudici di linea o di sedia, non si può dire che lo sia. Il tristissimo episodio degli insulti sessisti verso la giudice di sedia Louise Engzell, di cui è stato protagonista durante il primo turno degli ultimi US Open, rappresenta solo la punta di un iceberg di anni di sceneggiate non edificanti innanzitutto per la sua immagine pubblica.

Non solo: accade anche che, moltissime volte, il ligure – senza che probabilmente se ne renda conto – abbia atteggiamenti scortesi fuori dal campo. Come quando, ancora adesso, non risponde a giornalisti a lui sgraditi o, se è costretto a farlo, va avanti a monosillabi. Un comportamento che Fabio adotta anche con chi non conosce direttamente, ma ha la lettera scarlatta di collaborare per elementi della carta stampata, secondo lui, scorretti. Così facendo il ligure non ha rispetto per chi lavora molte volte duramente senza arricchirsi e non è in tal modo che può pensare di fare appieno il suo dovere di tennista professionista. Un ruolo che svolge da un decennio abbondante, che però comprende, tra i suoi compiti, la parte fondamentale dell’avere rispetto per il mestiere di giornalista, seppur ricoperto da chi risulta antipatico o da chi non si ritiene stimabile. Che piaccia o meno a Fognini, quella persona a lui sgradita, lavorando, fa da tramite tra la sua immagine pubblica e la gente che lo segue da casa, ovvero quelle stesse persone che, interessandosi ai suoi risultati, gli garantiscono indirettamente sponsor e montepremi. Forse gli farebbe davvero bene aprire i giornali esteri, vedere come e cosa si permettano di dire verso i loro campioni e come essi però facciano sempre il loro dovere di professionisti, collaborando professionalmente con la stampa, anche quella “nemica” e politicamente scorretta. Non sempre Fabio Fognini si mostra maturo al mondo esterno: come quando sembra si senta al centro del mondo e si consente atteggiamenti spacconi francamente inspiegabili, anche per chi avrebbe vinto dieci Slam più di lui, che tra l’altro – ci auguriamo sinceramente di aggiornare il conteggio – ancora sta a 0.

Capiamoci: secondo noi, nonostante tutto, per quel pochissimo che siamo consci di sapere di lui, Fabio è un ragazzo di buon cuore che risponde male al mondo esterno anche a causa di una malcelata timidezza. Ci scommetteremmo a riguardo, vedendo i buoni rapporti che ha con i colleghi, gente che lo frequenta decisamente di più dei tifosi o dei giornalisti: molti di loro si divertono a vederlo quando inizia a dare i “numeri” in campo, ma lo accettano con simpatia negli spogliatoi, dove sa stare in punta di piedi e col sorriso.

In realtà, però, il punto non è discettare su se Fognini sia antipatico o meno, o se sia un bravo o cattivo ragazzo. A noi deve interessare esclusivamente del tennista e non faremo l’errore che crediamo compiano tanti appassionati e, ancor più gravemente, la maggioranza di chi scrive di tennis: farsi inconsciamente influenzare da quel che si pensa istintivamente del Fognini persona (un aspetto sul quale, soltanto chi vive Fabio nella quotidianità può esprimersi). Chi ragiona cosi, fa lo speculare errore che il ligure compie con i giornalisti e, seguendolo, non potremmo più “bacchettare” il taggiasco a tal riguardo, per provare a farlo crescere ulteriormente come professionista.

Innegabilmente, con il numero 1 azzurro, se perde male – come ogni tanto gli capita – si è tutti impietosi; quando invece ottiene ottimi risultati, questi vengono sempre giustificati con qualche motivazione che esula dal talento del ligure e scade in ragioni che non devono mai definirlo molto bravo: chi lo ritiene tale, o è prezzolato dalla federazione o è un incompetente. Quando Fabio vince 5 tornei ATP e raggiunge 9 finali, ci riesce solo perché erano tornei mediocri: in realtà uno di essi, Amburgo, è un ATP 500 e, soprattutto, se fosse così semplice raggiungere questi traguardi, sarebbero stati conseguiti anche da altri tennisti non bravi, come tanti provano a far passare Fabio. Quando il ligure raggiunge due volte le semifinali in tornei della categoria Masters 1000, si ricordano immediatamente le sue varie eliminazioni ai primi turni; quando sconfigge sin qui dieci volte giocatori nella top ten, vi è riuscito solo perché erano chiaramente fuori forma. Quando, continuando tra i tanti esempi possibili, con Simone Bolelli, Fognini è il primo italiano a vincere uno Slam in doppio e a partecipare alle ATP Finals, il motivo è soprattutto della crisi della specialità, disertata dai migliori tennisti.

Pochissime volte si è ricordato che nel tennis dell’Era Open, la continuità di risultati nei vari anni della carriera di singolarista, pone, numeri alla mano, Fabio dietro solo a Panatta e Barazzutti tra i tennisti italiani. Anche nel corso degli ultimi Internazionali d’Italia, durante i quali ha sconfitto dopo una prova eccezionale il numero 1 del mondo, un risultato che mancava al tennis italiano addirittura da dieci anni, con lui molti hanno guardato il bicchiere mezzo vuoto: “Lo scozzese quest’anno è fuori forma, aveva perso già con Coric qualche giorno prima…” e via con mille analisi che tendevano a ridimensionare i risultati dell’allievo di Franco Davin. Di più: l’indomani di quella vittoria, nella sfida contro Zverev, inutile negarlo, c’è stata una parte non esigua della stampa e del pubblico che ha tifato per il tedesco, in modo da poter tornare a deridere il ligure e chi tifa per lui.

Eppure siamo tutti bravi a ricordare, certamente non farete fatica a trovarlo in rete, come Fabio negli Slam, i tornei più importanti per un tennista, non abbia mai fatto nulla di rimarchevole (un solo quarto di finale, al Roland Garros 2011; appena due ottavi, uno agli Australian Open 2014, l’altro agli US Open 2015), che è un tennista capace di perdere contro i Travaglia di turno (come a NY, a settembre), che ha una seconda di servizio troppo debole ad alti livelli, che commette un numero eccessivo di errori gratuiti, ecc… Per la maggioranza del mondo del tennis italiano, soprattutto quello che pretende di essere competente, Fabio è fortunato e sopravvalutato. Sulla fortuna abbiamo dubbi seri: una carriera che tra le sue gemme massime annovera l’essere stato più un anno e mezzo nella top 20, non può rendere credibile nel giudizio tale parola, sempre che non si voglia incredibilmente teorizzare che la fortuna duri 500 giorni consecutivi. La vera domanda è: negli ultimi anni quanti atleti italiani in sport competitivi come il tennis sono stati oggettivamente – la classifica ATP sarà pure asettica, ma certamente non va a simpatie – tra i primi 20 della loro categoria per poco meno di 100 settimane e hanno avuto tanta stampa e tanti appassionati contro? Possiamo ben dire che il suo sia un caso più che inedito, tanto più che da 35 anni nessuno riusciva a fare nel tennis quanto da lui compiuto.

Sul fatto poi che Fabio sia sopravvalutato da alcuni commentatori, è innegabile, ma dipende ovviamente dal giudizio che si esprime su di lui e qui non troverete mai detto che il ligure sia un campione o un fenomeno. Non stiamo nemmeno teorizzando che Fabio debba per forza arrivare tra i primi 8 del ranking ATP o che abbia tutte le qualità per riuscirci (come pure ha affermato ai microfoni di Sky, a commento della vittoria su Murray, uno che di tennis ne sa qualcosa, Paolo Bertolucci).

Qui stiamo solo ragionando sul fatto, inoppugnabile, che due cose fanno bene ad un movimento sportivo nazionale: una grande rivalità di personaggi forti alla quale la gente possa interessarsi e/o i successi di un campione nazionale. Il tennis in Italia, come nel mondo, ha conosciuto negli ultimi anni un grande boom grazie alla rivalità tra Federer e Nadal, al cui traino sono venuti altri grandi campioni come Djokovic e Murray. Il bacino d’utenza da riempire, per un’ulteriore crescita del nostro sport, è quello di raggiungere chi segue una specialità dopo che in lui è stato suscitato lo spirito d’emulazione a seguito delle vittorie di un campione della propria nazione. Ebbene, Fabio non è ancora un campione – i suoi risultati in carriera, quando lo scorso maggio ha compiuto 30 anni, smentiscono tale definizione – ma è un buonissimo giocatore, anzi, ottimo se comparato alla tradizione italiana, molto avara di gioie nel mondo della racchetta. Troppi hanno difficoltà a riconoscergli di aver regalato indubbiamente una visibilità extra al tennis, coi suoi successi in campo e col suo essere un personaggio anche fuori dal rettangolo di gioco (ha un aspetto piacente e una vita extra tennistica piuttosto glamour). Circostanze che fanno bene sia a chi ama la racchettta che a chi lavora con il tennis.

Noi tifiamo per Fognini in ogni torneo in cui è iscritto, specialmente se si tratta di un Masters 1000 o di un Major: lo facciamo non perché Fabio ci sia simpatico o perché sia la prima persona con la quale prenderemmo un caffè. Spereremo vinca, come sempre quando scende un tennista azzurro, perché la sua vittoria farebbe bene in termini di visibilità al tennis e quindi a noi che amiamo questo sport. Ma tanto già si sa: Fabio per tanti è solo fortunato e sopravvalutato e, se a gennaio dovesse per assurdo vincere gli Australian Open, ci sarebbe riuscito soltanto grazie al tabellone più fortunato della storia del tennis.