Nei dintorni (prima) di Djokovic: Boba, il panino con SuperMac e il regalo da Lendl
Poco prima che Novak Djokovic nascesse, a metà degli anni Ottanta, a Belgrado si faceva il tifo per un altro tennista originario della capitale serba. Ma a quel tempo per lui si tifava anche a Zagabria, Lubiana, Sarajevo… Come sarebbe successo poi anche per Monika Seles, che proprio in quegli anni cominciava a farsi notare a livello juniores tanto da attirare l’attenzione di un “guru” come Bollettieri, e infine per le prime vittorie da “pro” di Goran Ivanisevic. C’era infatti ancora la Jugoslavia. Il tennis nello stato federale balcanico aveva sempre avuto discreta fama, già ben prima che nascessero i grandi campioni appena citati. Tra gli anni Sessanta e Settanta per merito dei risultati dei croati Nikki Pilic (finalista a Parigi nel 1973 e semifinalista a Wimbledon nel 1967 in singolare, vincitore in doppio a Wimbledon nel 1970), Zeljko Franulovic (anche lui runner-up in singolare allo Slam parigino e vincitore del torneo di Montecarlo, di cui è oggi il direttore) e Boro Jovanovic (arrivato nei quarti a Parigi nel 1968, in doppio finalista con Pilic a Wimbledon nel 1962). Dalla seconda metà degli anni Settanta per i successi della slovena Mima Jausovec, vincitrice e poi altre due volte finalista al Roland Garros, Proprio dopo il canto del cigno di Mima, che arrivò in finale a Parigi nel 1983 e da lì iniziò il suo declino, ecco spuntare dalla Serbia, paese che non vantava particolari tradizioni tennistiche (tra i ’60 e i ’70 c’era stato Nikki Spear, best ranking n. 78 nel 1977, scomparso proprio pochi giorni fa), lui, Slobodan Zivojinovic.
Nato a Belgrado nel 1963, “Boba”, com’è soprannominato Zivojinovic, in carriera ha vinto due titoli di singolare (Houston e Sydney) ed ha raggiunto il suo best ranking al n. 19, mentre in doppio ha trionfato in otto tornei (tra i quali uno Slam) ed è arrivato al primo posto della classifica mondiale di specialità. Il gigante belgradese (198 cm di altezza per 100 kg), divenne famoso tra il 1985 ed il 1986. Prima agli Australian Open del 1985, quando nei quarti battè John McEnroe 6-0 al quinto, e poi l’anno successivo a Wimbledon, quando arrivò nuovamente in semifinale e fu sconfitto solo al quinto da Ivan Lendl. Nello stesso anno vinse poi gli US Open di doppio in coppia con Andre Gomez, conquistando nello stesso periodo la vetta del ranking ATP. Tre delle sue vittorie in doppio il tennista a quei tempi jugoslavo le conquistò assieme ad uno dei suoi più grandi amici nel circuito, Boris Becker. Talmente amici da giocare assieme un’esibizione a Belgrado, dopo che Becker aveva vinto già trionfato due volte a Wimbledon, la cui organizzazione fu curata dallo stesso Zivojinovic.
In occasione del trentennale di quell’evento, disputato il primo ottobre 1987, Zivojinovic ha rilasciato un’intervista ad una emittente serba, in cui e raccontato un po’ di aneddoti della sua carriera. A partire proprio dal ricordo di quella esibizione disputata al “Marakana” di Belgrado, lo stadio della Stella Rossa (oggi stadio “Rajko Mitic”, in onore di uno dei più grandi giocatori del calcio jugoslavo, che disputò tutta la carriera con i biancorossi belgradesi) che ai tempi poteva ospitare oltre 100.000 spettatori, da cui il soprannome che ricorda il celebre stadio brasiliano, prima che le ristrutturazioni ne riducessero la capienza a poco più della metà (come del resto è accaduto anche per l’impianto di Rio de Janeiro).
Sono passati trent’anni, wow! È veramente tanto tempo… Però è uno di quei match che mi è rimasto impresso nella memoria. Prima di tutto perché fu la prima volta che venne organizzata un esibizione simile nel nostro Paese. Fu un’enorme soddisfazione per me ospitare Boris Becker, che è stato mio compagno di doppio per diversi anni. Noi cominciammo la nostra carriera assieme qualche anno prima, quando Boris Becker non era ancora quel “Boris Becker”. La nostra amicizia nacque in quegli anni, quando giocavamo le qualificazioni nei vari tornei e poi siamo rimasti compagni di doppio e amici. L’esibizione fu una mia idea: avevo il desiderio che il nostro pubblico vedesse una grande star come Becker. Avevamo la Coppa Davis, ok, ma volevo che il tennis si affermasse ancora di più nel nostro paese.
Boba si era rivelato al grande pubblico proprio due anni prima. Ad essere precisi, infatti, il suo nome divenne conosciuto agli appassionati e famoso in patria un mesetto e mezzo prima del citato l’exploit Down Under, grazie alla clamorosa vittoria in Coppa Davis della Jugoslavia contro la Francia a Belgrado, nello spareggio per la permanenza nel World Group. La sfida si concluse con un inaspettato 4-1 a favore dei “plavi” (come venivano soprannominate le nazionali jugoslave, dal colore blu – plavo in serbocroato – della maglietta), grazie al 22enne Zivojinovic, che era entrato nei primi 100 nel marzo precedente e in quel periodo era attorno alla 70esima posizione del ranking, ed al 21enne zagabrese Goran Prpic, che era da poco nei top 150. I due sconfissero nei rispettivi singolari i favoritissimi transalpini Yannick Noah ed Henry Leconte, all’epoca rispettivamente top 10 e top 20. Il match fu giocato nella tipica atmosfera da match di Davis, al palazzetto Pionir di Belgrado (oggi Palazzetto Aleksandar Nikolic, in onore del grande allenatore di basket scomparso nel 2000), con l’accesissimo tifo dei sostenitori di casa. Tifo di cui peraltro i francesi si lamentarono non poco dopo la sconfitta. Zivojinovic quell’atmosfera se la ricorda ancora benissimo.
Devo innanzitutto dire una cosa: non ho mai perso quando ho giocato a Belgrado. Vinsi anche quell’esibizione con Becker! L’atmosfera del Pionir… Il Pionir ha qualcosa di unico. Sì, ci sono stati momenti da tifo calcistico. Per quanto riguarda ciò che dissero i francesi, il loro pubblico non è poi così diverso dal nostro. Non sono cosi “raffinati” come vorrebbero sembrare.
Passò un mese e mezzo e arrivarono gli Australian Open. E quella vittoria contro John McEnroe, che solo un anno prima era stato il dominatore il circuito (quel suo 96,5% di partite vinte del 1984, frutto di 82 vittorie e solo 3 sconfitte, non è stato sinora eguagliato) e che comunque aveva vinto otto tornei nel 1985 e puntava a conquistare per il quinto anno consecutivo la prima posizione in classifica a fine stagione. Ma ci si mise di mezzo Boba con il suo panino…
“Ah, quel panino… Fu una cosa incredibile. Dovunque vada – e questo non solo in Serbia e nel resto dell’ex Jugoslavia ma veramente dappertutto – quel panino mi segue, sono trentadue anni che mi segue. Probabilmente è il simbolo della mia carriera. Ora vi spiego come è andata. John McEnroe è uno sportivo molto intelligente. Nel tennis, quando si gioca al meglio dei cinque set puoi giocare anche 5-6 ore. Per un tennista non è possibile rimanere sempre concentrato e giocare il suo miglior tennis dall’inizio alla fine. Ci sono delle oscillazioni, per un paio di game non sei proprio al massimo, poi torni su e avanti così. Un loop.
Quando io presi il ritmo e iniziai a comandare il match, McEnroe capii quello che stava succedendo e quindi cercò un po’, come si dice in gergo tennistico, di “raffreddarmi”. Pensò che mentre lui sarebbe andato dall’arbitro per spiegargli qualcosa, io me ne sarei rimasto fermo seduto in panchina ad aspettare. Io però avevo capito cosa voleva ottenere. Considero John uno dei più grandi tennisti della storia, ma io sono cresciuto nelle strade di Belgrado e non volevo far parte del suo teatrino. Così uscii dal campo e lì vicino c’era un box, credo fosse quello della Ford, che era uno degli sponsor principali. In Australia si sa che nei box c’è sempre qualcosa da bere e da mangiare. Perfetto. Io prendo una sedia, mi siedo, allungo le gambe e mi prendo un panino: avevo veramente fame dato che stavamo giocando da un bel po’. Qualcuno mi offrii anche un bicchiere di champagne, lo ringraziai ma non potevo accettare dato che dovevo continuare a giocare. È stato bello, il panino era buonissimo… E tutto d’un tratto, l’intero stadio si è alzato in piedi. Gli applausi, l’energia… la televisione non può trasmettere quell’energia. È stato qualcosa di assolutamente incredibile e quella immagine ha fatto il giro del mondo. McEnroe rimase sconcertato: aveva appena finito di discutere con l’arbitro e io rientro in campo e scatta quell’applauso! Poi mi posiziono sulla linea di fondo: lui doveva servire e dovevamo riprendere il gioco. Palleggia, si ferma, mi guarda e mi dice: “You’re gonna pay for this” – Pagherai per questo. Si prepara a battere e io allora mi fermo e dico: “Not ready” – Non sono pronto a rispondere. Vado dall’arbitro e gli dico: “Scusi, ha sentito cosa mi ha detto? Lui mi ha minacciato! Come posso continuare a giocare? Lo ammonisca per favore”. La partita di fatto finì lì (per chi volesse rivedere tutto l’accaduto, questo è il link al filmato integrale del match: l’episodio inizia dopo 1h e 17′, ndr), per questo il quinto set finì 6-0 a mio favore. L’ultima risposta la tirò fuori dallo stadio. Prese una multa perché non si presentò in conferenza stampa e fu sospeso per tre mesi. E comunque, ogni volta che giocò contro di me in seguito, ed accadde un paio di volte (ottima memoria, si sfidarono in altre due occasioni ed in entrambe vinse McEnroe: agli US Open 1997 al quinto, in due set a Tokyo nel 1991, ndr), lui alla fine venne multato o squalificato. Credo che John si ricordi molto bene di me…
Ma Boba ha un altro incredibile aneddoto – meno conosciuto – legato a quella sfida con Supermac.
In quegli anni ero in ottimi rapporti con Ivan Lendl, ci allenavamo spesso insieme e ci frequentavamo anche fuori dal campo. Agli Australian Open del 1985 Ivan e John si presentano entrambi (McEnroe prima ci era andato solo una volta, nel 1983, ndr) e la situazione era la seguente: chi dei due sarebbe andato più avanti nel torneo sarebbe stato n. 1 a fine anno. Per capirci, questo significava notevoli bonus economici da parte degli sponsor, contratti milionari e cose simili. Nei quarti di finale Lendl deve affrontare Leconte, io invece McEnroe. Negli spogliatoi mi avvicino a lui e gli dico: ”Ivan, cosa ci guadagno se batto McEnroe?” E lui di rimando: “Quello che vuoi.” Bene, lui batte Leconte ed io McEnroe, lui arriva in semifinale e si assicura la prima posizione del ranking. Dopo un paio di settimane, io e Lendl ci troviamo da qualche parte negli Stati Uniti ed ad un certo punto, durante l’allenamento, lui mi dice: “Ok, vediamo quello che abbiamo concordato”. Proprio in quel periodo era uscita la Mercedes 190 AMG. Mi piaceva molto e allora gli dissi che volevo quell’auto. Ivan rispose che andava bene. Qualche giorno dopo, eravamo in Florida, mi chiede dove deve spedirmi l’auto. Io gli rispondo che non la voglio più, che ci ho ripensato. “Ma come non la vuoi, amico, ci siamo messi d’accordo” mi fa lui. Gli dico di no, che ci ho ripensato. Lendl allevava pastori tedeschi e gli dico che voglio un cucciolo. Il giorno dopo, con una spedizione DHL di prima classe, mi viene consegnato un cucciolo di pastore tedesco… Ecco, ho scambiato una macchina con un cane. La mia prima grande mossa imprenditoriale!
Resta una curiosità. I rapporti con John McEnroe dopo quel panino…
Ne abbiamo parlato 7-8 anni fa. Eravamo a Zagabria, c’era un torneo del Senior Tour, giocavano anche Borg ed altri. Eravamo seduti tutti assieme, quando ad un tratto lui comincia a stuzzicarmi, a prendermi in giro. Io semplicemente gli dico: “John ascoltami, ogni volta che hai giocato contro di me dopo quello che è accaduto, poi non hai giocato a tennis per 2-3 mesi. Hai qualche problema?” Lui si è alzato e mi ha detto “Scusami, ti prego”. Per il resto, durante un Masters ad Hannover gli raccontai di questo “accordo” con Lendl, e posso dirvi che la cosa non gli piacque. Ma siamo rimasti amici, ogni volta che ci troviamo ci fermiamo a parlare.
Molti sostengono che con il talento che aveva, Zivojinovic avrebbe potuto arrivare più in alto di quella 19esima posizione in singolare.
Io tra il 1985 ed il 1986 raggiunsi due semifinali Slam, vinsi un torneo a Houston, arrivai in semifinale a Tokyo… Se i punti fossero stati conteggiati come oggi, sarei stato tra i primi 5-6 giocatori al mondo!
Per curiosità siamo andati a verificare. Abbiamo preso i suoi migliori risultati di quel periodo, dagli Australian Open del novembre 1985 all’ottobre successivo, ed abbiamo calcolato – come si può fare a più di trent’anni di distanza, con tornei che non ci sono più e tutto il resto – che con i punteggi attuali il tennista di Belgrado avrebbe superato i tremila punti. Carreno Busta, attuale n. 10 ATP, ne ha 2.615, Cilic – n. 6 – 3.805. Insomma, top 5 forse no, ma tra i primi dieci ci sarebbe entrato con comodo.
A quei tempi, invece, il mio problema era che partecipavo ad alcuni tornei e venivo eliminato al primo turno. Quella volta i punti si dividevano per il numero di tornei disputati. Quindi, se guadagnavo in un torneo, ad esempio, cento punti e nel torneo successivo venivo eliminato subito, i punti si dividevano per due. Quindi non avevo cento punti in classifica, ma solo cinquanta.
Inoltre arrivare tra i “pro” non era stato facilissimo per il tennista belgradese.
Mats Wilander ed io ci siamo sfidati più volte da junior, una volta vinceva lui, una volta io. Nella finale dei campionti europei juniores del 1981 mi battè in tre set, dopo che io avevo vinto il primo. Eravamo in agosto. Nel giugno dell’anno successivo lui vinse il Roland Garros. Questo è stato il mio problema, fino ai diciott’anni mi allenavo nelle palestre delle scuole elementari. Pensate se succedesse adesso: allenarsi solo cinque-sei mesi, senza avere continuità nel lavoro. In quel 1981 non riuscii ad ottenere nessuna wild card. Giocai i tornei satellite in giro per la Bulgaria, la Romania, in tutti questi paesi in cui quelli della mia generazione potevano trovare la strada per arrivare ai grandi tornei. Il mio cammino è stato più duro. Alla fine del 1981 vinsi da junior il campionato europeo open, a quei tempi un torneo serio, con una tradizione: non c’erano i professionisti ma c’erano giocatori forti, russi, cechi. Divenni campione europeo in singolo e nel doppio misto e fui premiato in Jugoslavia per i miei risultati. Ma dal 1981 al 1984 c’è un intervallo di tempo di tre anni, c’è voluto tempo perché dal dilettantismo passassi al professionismo.
Tutto vero, ma c’è anche da dire che al contrario del suo grande amico Ivan Lendl, che fu il precursore dell’approccio professionale a 360 gradi nel tennis professionistico, Zivojinovic non era uno che seguiva uno stile di vita da atleta, soprattutto dal punto di vista dell’alimentazione.
Lo seguivo quanto potevo… Scherzo, però dovete pensare che giocavamo tornei in tutto il mondo e facevi diverse. E così capitava che quando arrivavi durante la stagione a Sydney e a Melbourne, gli amici ti aspettavano ed era normale uscire con loro, almento a cerca . Ma senza allenarti e riposarti con regolarità non puoi resistere a tutto questo.
Chissà se i risultati sarebbero stati diversi se, ad esempio, Boba avesse dedicato all’alimentazione e alla cura del fisico le stesse attenzioni che ci dedica il suo concittadino Novak Djokovic.
Assolutamente sì. Io ero in grado di mangiare mezzo agnello e poi di scendere in campo, perché pensavo che se mangi bene poi giocherai bene. Lo sport professionistico è cresciuto sotto tutti i punti di vista rispetto ai miei tempi, è una cosa normale. Io ero conosciuto al Tennis Club Stella Rossa di Belgrado come uno che andava sempre in campo con il panino: perché se mangiavo poco, mi allenavo poco, io mi riscaldavo così. Penso che se ci fosse stato qualcuno che mi avesse indirizzato correttamente, questa cosa falla così, quest’altra invece così… A quei tempi dalle nostre parti non c’era nessuno del genere e allora io pensavo: “Se mangio una bistecca sarò più forte.” Del resto, quella era la nostra cultura.
Nonostante tutto ciò, Zivojinovic a fine 1987 – stagione in cui a livello Slam fece terzo turno a Melbourne e New York e quarti di finale a Wimbledon – riuscì ad arrivare in top 20 per un paio di settimane, subito dopo aver infilato tre bei risultati: i quarti a Basilea (sconfitto da Forget) e due semifinali consecutive a Sydney (battuto da Lendl) e a Tokyo (superato da Edberg). Finì la stagione al n. 22 (l’anno prima era n. 40) e rimase più o meno costantemente tra i primi trenta per un annetto e mezzo. Poi il rapido declino: già verso la fine del 1989 uscì dai primi cinquanta e a febbraio 1990, a nemmeno ventisette anni, dai primi cento. Ma Boba non rimpiange il fatto di aver brillato per poco tempo. Il suo unico vero rimpianto è quella semifinale di Wimbledon persa al quinto set contro il suo grande amico Ivan Lendl, forse perché raggiunta nell’anno sbagliato.
Eh sì, contro Lendl nel 1986. Sapevo che se arrivavamo al quinto era mio, ne ero sicuro. M c’è stata una combinazione di circostanze… Già dal giorno prima del match. Avevo chiamato per sapere a che ora avrei giocato e mi avevano detto che avrei giocato il primo incontro. Io prendo nota e mi preparo di conseguenza. Arriva un mio amico e mi chiede quanto gioco e gli dico che gioco per primo. E lui: “Ma sei sicuro?” Beh, me l’hanno detto” rispondo io. Lui insiste e mi dice di verificare. Io mi ero già organizzato, avevo fissato l’allenamento e tutto il resto… Richiamo e mi dicono che invece giocherò per secondo. La cosa mi ha, diciamo così, mandato un po’ in confusione. Ma non solo, c’è dell’altro… Le palline erano incredibilmente pesanti e fredde i primi tre set, tre set e mezzo, e io non riuscii a fare tanti ace. Arrivò il quarto set. Ed infine il quinto. Ed ecco la palla break. E io sento, proprio come contro McEnroe, come un’intuizione. Quando dici a te stesso “Ecco, questo è il momento, è mio”. Lui serve la prima e la palla è nettamente fuori. Il giudice di linea inizialmente la chiama “out” ma interviene il giudice di sedia che lo corregge. Un mistero. Non avevamo Hawk-Eye, non c’era la tecnologia. Tutto il resto è storia (Lendl vinse 6-4 il set decisivo, ndr). Era la centesima edizione di Wimbledon e sono convinto che gli arbitri avessero il piccolo compito di non farmi arrivare in finale. Perché la finale Becker – Lendl era più consona del centesimo Championship…
In Serbia c’è chi dice che ci sia stato il tennis prima e dopo Boba. Sicuramente dopo di lui questo sport ha raggiunto una fama che non aveva mai avuto prima in Serbia. Ed il merito di Zivojinovic in questa esplosione è duplice: da una parte con i suoi risultati da giocatore, poi con la sua attività da dirigente iniziata nel 2001 nella Federtennis serba, di cui è stato il massimo rappresentante dal 2006 al 2011 e di cui ora ricopre la carica di presidente ad honorem.
Quando entrai in federazione nel 2001 dovevamo letteralmente pregare le televisioni perché trasmettessero la Coppa Davis. Per loro non era qualcosa di interessante e questo rappresentava un grande problema. Se pensiamo a quei tempi, dobbiamo dire che ha dell’incredibile che in così poco tempo siamo riusciti ad avere giocatori come Novak Djokovic, Janko Tipsarevic, Nenad Zimonjic, Viktor Troicki, Ana Ivanovic, Jelena Jankovic… Tutto quello che loro hanno fatto, non so se c’è un altro paese al mondo così piccolo che in un periodo di tempo così breve è riuscito a conquistare , abbiamo conquistato la Coppa Davis e giocato la finale di Federation Cup. Incredibile, è proprio incredibile… Quando i presidenti delle altre federazioni, gli inglesi, i francesi mi chiedono come sia potuto succedere, non lo si può spiegare. Noi siamo semplicemente, ed obiettivamente, una nazione talentuosa dal punto di vista sportivo, basta guardare il calcio, il basket, la pallavolo e la pallanuoto. Lo sport è qualcosa che noi di queste parti adoriamo, forse la cosa in cui siamo più forti.
Logico a questo punto parlare della punta di diamante del movimento tennistico del paese balcanico, quel Novak Djokovic che Zivojinovic considera, con un po’ di patriottismo, il miglior giocatore della storia del tennis (“Dopo di lui metto McEnroe“). In particolare, ovviamente, della crisi di risultati e delle prospettive al rientro dopo lo stop dell’ex n. 1 del mondo.
Io non credo sia in crisi e non vedo alcuna ragione per cui non possa tornare quello di prima. È certamente molto dura rimanere il n. 1 – sono tutti che ti inseguono, senti il loro fiato sul collo, mentre davanti non hai nessuno, puoi solo cercare di raggiungere qualche altro record. E poi tutto quel fare e disfare i bagagli, viaggiare… Ad un certo momento uno sente che c’è qualcosa d’altro oltre lo sport. Ecco, lui ora ha avuto il secondo figlio, ha una famiglia e noi balcanici siamo persone molto emotive. Credo che per lui questa pausa sia un’ottima cosa, staccherà per un po’ da tutto, lui che non si è mai fermato a lungo. Per anni ha staccato al massimo per una decina di giorni, a cavallo di Capodanno, e poi di nuovo ripartiva, la preparazione per l’Australia e così via. E questo ogni anno. Tutti si sono presi una pausa, anche Nadal l’ha fatto ed è tornato, per questo non dubito che Novak tornerà presto.
Zivojinovic – che nel 2010 è stato insignito dall’ITF e dal’International Tennis Hall of Fame & Museum del Davis Cup Award of Excellence, riconoscimento che premia coloro i quali rappresentano gli ideali e lo spirito della Coppa Davis: Boba giocò per la nazionale jugoslava per 12 anni consecutivi, dal 1981 al 1992 (“Prima del 1984 e dell’ingresso nel World Group c’era un po’ uno spirito dilettantistico, “Dai che ci troviamo ed andiamo a giocare un po’”: non avevamo la divisa, l’abbigliamento di rappresentanza, non c’erano sponsor. Poi quando siamo arrivati nel World Group tutto è cambiato. L’opinione pubblica si è accorta di noi”), con un totale di 36 vittorie e 26 sconfitte – oggi continua ad essere impegnato nel mondo del tennis. Oltre alla presidenza onoraria della Federtennis serba è anche membro del Comitato della Coppa Davis dell’ITF.
Sono attivo nella federazione internazionale e collaboro per lo sviluppo del tennis. Io sono nato sui campi da tennis, il tennis è la mia vita.
Visto quello che ha raccontato, a Slobodan Zivojinovic noi forse avremmo fatto un’ultima domanda. Se anche oggi, quando si prepara una riunione o ad un meeting, un panino è sempre d’obbligo…