Garcia contro Barty: generazioni di tennis a confronto

Mentre seguivo la finale del Premier 5 di Wuhan tra Caroline Garcia e Ashleigh Barty ho avuto la sensazione, a dispetto delle indicazioni dell’anagrafe (Barty ha 21 anni e Garcia 24), di assistere a un match che poteva essere interpretato anche come un confronto fra generazioni tennistiche differenti. Un confronto che, un po’ brutalmente, si potrebbe riassumere così: anni novanta contro anni duemila.

La questione non è immediata da spiegare, e occorre sgombrare il campo da equivoci. Per questo discorso non conta il risultato finale (Garcia ha vinto 6-7, 7-6, 6-2) né la forza delle protagoniste. Contano le loro caratteristiche. Caratteristiche particolarmente interessanti: a Wuhan si sono fronteggiate due delle giocatici più complete sul piano tecnico tra le under 25. Caroline Garcia possiede un repertorio di colpi molto esteso: servizi lavorati e di potenza, colpi da fondo in top e in back, gioco di volo molto superiore alla media.
Non è da meno Ashleigh Barty: mai a disagio in qualsiasi parte di campo, volèe incluse. Questa è l’impressione riferita ai suoi match degli esordi: “Non altissima (1,66) ma con un bel servizio e un gran dritto, aveva mostrato di non essere una qualunque: in campo dava la sensazione di possedere una estrema facilità nel compiere tutti i gesti; non solo nel colpire, ma anche nel coordinarsi e “trovare” la palla. In sostanza: un superiore talento fisico-tecnico”. Doti speciali che le hanno permesso di salire in una sola stagione dal numero 271 (gennaio 2017) al numero 23 del ranking.

Ashleigh Barty e gli anni novanta
Un po’ Steffi Graf e un po’ Jim Courier: questo lo strano mix che associo a una ventunenne australiana dei giorni nostri come Ashleigh Barty. Due numeri uno nati a distanza di pochi mesi (Graf nel giugno 1969, Courier agosto 1970).

Primo nome della combinazione: Steffi Graf. Quando guardo i match di Ashleigh riaffiora il tema tattico tipico di chi si basa sull’impostazione “dritto potente + slice di rovescio”, con lo scopo di cercare di colpire di dritto anche dall’angolo sinistro del campo. Sicuramente questo schema è stato il marchio di fabbrica di Steffi, ma di per sé non sarebbe sufficiente per mettere in moto la “macchina del tempo” dei ricordi, che invece immancabilmente si avvia quando guardo i match di Barty. Del resto giocatrici che costruiscono la loro forza sulla preponderanza del dritto ce ne sono anche oggi: senza andare molto lontano penso a Samantha Stosur, Roberta Vinci, Kiki Mladenovic.

È la seconda somiglianza, quella con un particolare colpo di Jim Courier, che aggiunge ad Ashleigh un ulteriore quid, e la rende ancora più vicina al tennis degli inizi degli anni ’90: il rovescio bimane in stile “baseball”. Soprattutto nella prima fase di preparazione: braccia particolarmente tese e parallele, proprio come fanno i giocatori di baseball con la loro mazza. O quelli di cricket, come lo è stata Barty, nel periodo in cui aveva deciso di abbandonare il tennis in favore di uno sport di squadra, meno stressante psicologicamente.

Ai miei occhi, inevitabilmente, la combinazione Graf+Courier rende Ashleigh una giocatrice tanto evocativa quanto interessante. E così durante la finale di Wuhan contro Garcia mi interrogavo anche sui tempi di gioco meno estremi che c’erano qualche anno fa, e che riaffiorano nel tennis di Barty. Infatti chi punta a colpire più spesso di dritto (perché lo ritiene il proprio colpo più forte) si trova inevitabilmente di fronte un’avversaria che insisterà invece sul lato opposto, quello del rovescio, e di conseguenza sulla diagonale sinistra.
Per evitare di farsi bloccare sul colpo più debole, o ci si “libera” con il rovescio lungolinea oppure si ricorre all’esecuzione del dritto anomalo, eseguito a sventaglio da sinistra. Però per colpire con il dritto anomalo occorre trovare un tempo di gioco in più, quello necessario per “girare” attorno alla palla. Tempo che si può conquistare attraverso l’uso dello slice di rovescio: una soluzione efficace, perché rallenta lo scambio e in alcune occasioni obbliga l’avversaria a colpire a sua volta slice, con una ulteriore frenata nella velocità del palleggio.

In sostanza: un tennis non solo asimmetrico ma anche non omogeneo nel ritmo. Intendiamoci: questi sono schemi tattici consolidati, niente di straordinario o di complicatissimo, ma che comunque richiedono una impostazione differente rispetto a molto del tennis che viene praticato oggi.

Aggiungo un’altra questione specifica di Barty: ama giocare spesso il dritto inside-in, che è forse il colpo in cui meglio esprime tutte le sue doti di coordinazione e tempismo. Un colpo molto spettacolare, ma estremamente rischioso: da fondo campo forse il più pericoloso di tutti. L’inside-in, infatti, o si tramuta in un vincente, oppure rischia di diventare una scelta suicida, perché significa accelerare lasciando tutto il campo sgombro da qualsiasi difesa; e se l’avversaria riesce ad agganciare la palla sarà sufficiente una traiettoria incrociata perché ribalti l’esito del palleggio.

Capire quando ricorrere all’inside-in, e quando invece è meglio rinunciare, non è poi tanto scontato. Un aspetto in più che richiede a Barty una maggiore attenzione sugli sviluppi tattici. Lo sottolineo perché si tratta di una ragazza appena ventunenne, che ha saltato alcune stagioni in una fase cruciale della carriera (per dedicarsi al cricket, come dicevo sopra) e che avrebbe dunque tutte le ragioni per avere incertezze su questi aspetti.

Anche da questo si capisce che non si tratta di una tennista qualsiasi, ma di una promessa che in un paese di grande tradizione come l’Australia era seguita con molta attenzione sin da giovanissima. Personalmente ricordo di averla vista giocare per la prima volta ancora quindicenne nel gennaio 2012; e non per un caso, ma perché già allora se ne parlava come un talento speciale, vincitrice di Wimbledon junior 2011. Era impegnata a Hobart, dove venne sconfitta da Bethanie Mattek-Sands per 6-2, 6-2: Ashleigh non era ancora in grado di misurarsi sul piano fisico con la pesantezza di palla dell’avversaria, ma era già capace di tenerle testa quando gli scambi si facevano prevalentemente tecnici.

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