US Open: dopo 36 anni è di nuovo American Party

Una tra Venus Williams, Sloane Stephens, Coco Vandeweghe e Madison Keys sarà la campionessa dell’US Open 2017 e gli Stati Uniti torneranno a sollevare la coppa dopo due anni di intrusione italo-tedesca (Pennetta e Kerber).

UN PO’ DI STORIA

Sarà il decimo trionfo di una tennista di casa nelle ultime venti edizioni del torneo. Va da sé che è praticamente tutto merito della genìa Williams, con le sei affermazioni di Serena e le due di Venus. Qualora Venus dovesse sbaragliare la concorrenza anche quest’anno l’unico successo stellestrisciato dell’ultimo ventennio non imputabile a Richard e Oracene Williams rimarrebbe quello di Linsday Davenport, datato 1998. Era stato decisamente privo di gloria il decennio precedente, dominato da Graf e Seles, mentre per ritrovare un’altra vincitrice statunitense non-Williams si deve ritornare a Navratilova 1987, l’anno del suo ultimo titolo newyorchese. Questo testimonia l’incredibile peso di Venus e Serena nell’economia del tennis statunitense degli ultimi 30 anni.

E per ritrovare due semifinali tutte statunitensi? A New York è successo una sola volta nell’era Open, ben 36 anni fa. Nel 1981 Tracy Austin batteva in finale Martina Navratilova dopo che le due avevano sconfitto rispettivamente Chris Evert e Barbara Potter. Curiosamente, proprio come è accaduto quest’anno a Melbourne, all’Australian Open 1981 gli Stati Uniti avevano piazzato tre semifinaliste su quattro, vincendo il titolo con Navratilova (le altre due erano Evert e Shriver). Tecnicamente Martina avrebbe acquisito la cittadinanza statunitense sono nel luglio di quell’anno, ma già dal 1975 giocava in Fed Cup sotto il vessillo a stelle e strisce. Era ormai già “americana tra le europee” a differenza di quando fu, a inizio carriera, “europea tra le americane“.

Il doppio derby Slam non si è verificato però soltanto all’US Open. In Australia è successo addirittura per due anni consecutivi: nel biennio 1982-83 gli Stati Uniti hanno colonizzato le semifinali, così come nel 1985 a Wimbledon (Evert, Rinaldi, Garrison e Navratilova). L’unico Major in cui l’impresa non è riuscita è il Roland Garros, dove pure nel 1984 solo la sconfitta ai quarti di Melissa Brown ha evitato che si completasse il terzetto composto da Navratilova, Evert e Benjamin.

Non è un caso che questi primati compaiano tutti negli anni ’80. Nei 31 Slam femminili disputati tra il 1980 e il 1987 gli Stati Uniti hanno partecipato a 29 finali vincendone 25. E sono pochi i motivi per credere che l’Australian Open 1986, non disputato per uno slittamento di calendario, non avrebbe visto in finale una Navratilova capace di presenziare alle altre finali Slam disputate in stagione. I 32 Slam disputati invece esattamente 30 anni dopo (2010-2017) hanno visto le statunitensi presenti in 17 finali con 13 vittorie, già includendo il trofeo che verrà assegnato questo sabato a Flushing Meadows. Tutta farina del sacco di Serena (12 titoli), ad eccezione di questo US Open. Sebbene a certi Serenari sfegatati si senta pronunciare: “se solo avesse partorito un paio di mesi prima… avrebbe vinto anche questo Slam!“.

LE SEMIFINALI 2017: PREVIEW

Nell’American Party di fine stagione a Flushing Meadows la storia occupa però soltanto il 25% dello spazio, nella persona – e nei meravigliosi 37 anni – di Venus Williams, alla 23esima apparizione in una semifinale Slam. Le altre tre sono novizie, hanno giocato una sola semifinale Slam in carriera e nessuna è mai stata in grado di issarsi sino alla finale. Ci riuscirà per la prima volta una tra Keys e Vandeweghe, protagoniste della semifinale nella parte alta di tabellone.

[15] M. Keys vs [20] C. Vandeweghe

Quello di Madison Keys non è stato in rientro in campo semplicissimo. Assente fino a marzo, ha vinto tre sole partite nei due Premier primaverili di Indian Wells e Miami e non è mai stata competitiva nel corso della stagione su terra (ce lo si poteva aspettare) e su erba (questo meno preventivabile, ma ha giocato solo Wimbledon). Poi, improvvisamente, il titolo a Stanford e l’eliminazione a Cincinnati solo per mano di una Muguruza in grande spolvero. Non solo nella qualità del suo tennis ma anche nella sua condizione atletica il clic è sembrato evidente, tanto che nel marasma dei pronostici pre-US Open il suo nome compariva più o meno timidamente nella lista delle outsider. Dopo una stagione logorante non è così sorprendente assistere alla rinascita di tenniste che nei primi mesi non sono andate a tutta, e hanno energie residue da spendere.

Per Vandeweghe parla invece un dato: quest’anno nei Premier ha collezionato solo 10 vittorie (con 9 sconfitte), negli Slam ben 14 vittorie (con 3 sconfitte), nonostante la zavorra del primo turno a Parigi. Due semifinali (Melbourne e finora New York) e un quarto a Londra. Coco ha una personalità debordante, sguazza nella garra e diventa difficilissima da arginare quando la partita si trasforma in una a gara a chi colpisce più forte. Ne è prova il fatto che due delle tre sconfitte Slam sono arrivate contro Magdalena Rybarikova, fiorettista di professione che è riuscita a non farle giocare il match che Coco vuole: conquista del centro del campo e vincenti da ambo i lati.

Come detto, chi vince raggiunge la prima finale Slam in carriera. Non si tratta di un pronostico semplice perché entrambe sono in fiducia, hanno un livello di esperienza sovrapponibile e possono contare sul supporto del pubblico. Un dato non trascurabile sono i due precedenti recentissimi, vinti entrambi da Keys a Stanford (in finale) e Cincinnati. Il vantaggio tattico non sembra esistere, perché entrambe sono giocatrici estremamente votate all’attacco e dotate di grande potenza. E il 2-0 negli scontri diretti potrebbe essere pareggiato dal “fattore Slam”, che favorisce Coco e la sua personalità esuberante. Il famoso 1% va a Keys, perché per valore assoluto è tennista più completa. Ma sarà battaglia.

[9] V. Williams vs S. Stephens

Qui la disparità di esperienza è invece abissale, così come quella che emerge dal confronto delle due stagioni. Merita il primo piano Sloane Stephens che è stata in grado di scalare 900 posizioni in classifica (!) in appena un mese, praticamente l’unico nel quale è scesa in campo. Di rientro da una frattura da stress al piede ha giocato e perso quattro set – grazie al ranking protetto – a Wimbledon e Washington, poi ha alzato vertiginosamente il livello raggiungendo la semifinale sia a Toronto che a Cincinnati. E poi qui a New York, risultato grazie al quale è già virtualmente rientrata nelle prime 40 del mondo e nella Race to Singapore è addirittura al 26esimo posto. In un mese.

Di Venus Williams basta dire che vincendo questa partita raggiungerebbe la terza finale Slam stagionale, e che le altre due le ha perse soltanto al cospetto di una Serena monumentale e della neo-n.1 Muguruza, devastante a Wimbledon. A 37 anni la scelta di concentrarsi sugli Slam è logica, forse l’unica percorribile per mantenersi competitivi. Di qui poi a rientrare in top 5 dopo quasi 7 anni di assenza (gennaio 2011) e ritrovarsi favorita per vincere l’ultimo Major della stagione, quello che per definizione spetta a chi ha dosato meglio le energie, beh ce ne passa. Si deve essere Venus per farlo.

Per questo Venus è favorita contro Sloane, che pure è una delle più colpitrici più pulite e più “belle” da guardare in senso estetico, oltre che per l’indubbia efficacia delle esecuzioni. Venus è favorita anche per vincere il torneo, perché questa sembra proprio l’occasione migliore per aggiudicarsi l’ottavo (e ultimo?) Slam personale e il 31esimo a nome Williams. No, per la Venere del circuito WTA non c’è due senza tre che tenga. Non ci sarà la terza finale persa in stagione. È arrivato il momento di chiudere il cerchio.