La vendetta del Ranking Robot premia gli Swarovski di Maria (Clerici). L’odiata Maria unica salvezza del tennis rosa (Lombardo). Vinci già fuori, si avvicina l’addio? (Lopes Pegna). Rafa e Roger, presenti! (Giua)

La vendetta del Ranking Robot premia gli Swarovski di Maria (Gianni Clerici, La Repubblica)

Avevo appena finito di insultare il Ranking Robot (RR) per la sua banalità che la macchina si è ribellata e ha risposto con il miglior primo turno che si poteva immaginare, Sharapova-Halep. Così faceva quell’essere umano di Carlo Levi Della Vida, primo fra gli organizzatori italiani, attivo addirittura nel teatro con Garinei e Giovanni (rc. Teatro Sistina), audace nel ribattezzare i Campionati Internazionali d’Italia, come la Fit non osava. Non esisteva ancora RR, e Carlo offriva i bigliettini contrassegnati con i nomi dei tennisti in colori differenti ai sorteggianti, per ottenere il miglior tabellone. Come la cosa si riseppe, decise di lasciare per 5 minuti i bigliettini con sopra scritto Pietrangeli o Laver nel frigorifero, e Roma continuò ad avere i migliori tabelloni della storia. Ora RR lo ha imitato, e qualcuno tra noi si è alzato alle 2 di notte per ammirare, insieme ai 23.771 spettatori dell’Arthur Ashe, Maria Sharapova, nel suo nerissimo completo ricoperto di schegge di cristalli Swarovski, approntato dall’italiano Riccardo Tisci, sin qui il migliore dei nostri eroi nello Stadio.

Irraggiungibile in campo quanto nella produzione di caramelle, Maria giungeva dalle conseguenze di colpe un tempo riservate alle adultere, era stata respinta dai ginecei di Roland Garros e di Wimbledon per il vivo sospetto che avesse concesso ai suoi muscoli impulsi vietati. Sorprendente che l’abituale spettatore dello US Open Trump non se ne sia accorto, e insomma fine radioso di un’atroce vicenda. Alla quale ha contribuito la piccola Halep, nel ruolo di Formichina contro la Cicala Nera, ruolo che non ha saputo interpretare sino in fondo, nonostante la sua suggeritrice – non dite coach – fosse la stupenda Virginia Ruzici del Roland Garros 1978, che lo scriba, memore di Bizet, aveva soprannominato Carmen. La Cicala Nera non aveva mai perduto nessuna delle sue precedenti sfolgoranti apparizioni notturne, a New York, per ben diciassette volte.

Sullo schermo la sua bellissima esplosività non era minimamente paragonabile alla piccola Halep, rivestita dai colori che un pittore distratto avesse intinto in un pennello maldestro. Mentre dalla racchetta della piccola son continuate ad uscire palle preconfezionate, il modello della Sharapova pareva quello che Martina Navratilova aveva offerto a Mosca a una sconosciuta bambina, sfuggita alle crudeli radiazioni atomiche di Chernobyl. Ora la vicenda, che sembra scritta per il regista-tennista Sorrentino, potrebbe proiettare la Cicala verso la Vittoria, considerate la modestia delle possibili future vittime, Babos, Vickery, Kening, Pen o Sevastova e, forse, Cibulkova. Sulla strada della Cicala non ci sono più le nostre Pennetta e Vinci, mentre la sua seconda settimana potrebbe addirittura condurla all’esplosivo scontro con Venus (…)

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L’odiata Maria unica salvezza del tennis rosa (Marco Lombardo, Il Giornale)

Non è simpatica. Pensa solo ai soldi. Si atteggia a star. Si è dopata. E una mangiauomini. La lista potrebbe continuare: quante volte abbiamo sentito dire tutto ciò – e in ordine sparso – riguardo Maria Sharapova? Certo: qualcosa è verità. Ma di sicuro Masha una qualità ce l’ha, ovvero sa giocare a tennis. Eccome. In pratica: l’altra notte a New York la Sharapova è tornata in uno Slam dopo 19 mesi e ha vinto al primo turno contro l’attuale numero due del mondo, Simona Halep.

Da Melbourne 2016 ad oggi intanto è successo un po’ di tutto, con l’annuncio al mondo della positività al Meldonium, l’oblio dei 15 mesi di squalifica, il ritorno in campo tra le frecciate di avversarie-addetti ai lavori-media, gli inviti a singhiozzo ai tornei con annessa discussione sull’eticità degli stessi. Lei ha risposto facendo spallucce, attirandosi nuove inimicizie. Però tutti sanno che il tennis femminile, in un periodo di mediocrità generale, non può fare a meno di lei (e della gestante Serena Williams). E allora: si può giudicare una tennista secondo antipatia? Quanti di quelli che giudicano conoscono davvero la Sharapova? E quanti di quelli che conoscono la Sharapova possono giudicare?

La risposta a queste domande potrebbe sorprendere. Maria fa presente di aver pagato le sue colpe (secondo lei minime, come da manuale delle giustificazioni del dopato), ed in effetti ha pagato. Così come intanto ha studiato ad Harvard per far crescere gli affari della sua azienda di caramelle; così come poi si è rimessa ad allenarsi duro per tornare a giocare. E diciamolo: non ne aveva bisogno. Alla fine a New York si è presentata un po’ a mezzo servizio, eppure ha vinto. E nel tripudio del pubblico. Certo, dopo ha pure versato lacrime di rito dicendo che sotto il vestitino pieno di Swarovsky c’è una brava ragazza. Ma questo fa parte dello show, che prevede una prossima autobiografia. Il suo show però che oggi è indispensabile, fino a (ri)prova contraria. Perché il tennis ha bisogno di lei (…)

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Vinci già fuori, si avvicina l’addio? (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)

Gli occhi azzurri di Paolo Lorenzi si illuminano quando pensa agli Us Open dell’anno passato: dette filo da torcere a Andy Murray al terzo turno, suo primato personale nei 25 Slam disputati. Cagnaccio toscano che non molla mai, lunedì ha stroncato in quattro set il portoghese Joao Sousa, dieci posizioni in classifica (n 50) più indietro di lui, ma contro cui non aveva mai vinto. «Ma ho giocato bene il rovescio, servito con profitto e sono sceso pure a rete», spiega. Un tennis diverso: «Ho fatto cose che anni fa non facevo: vengo avanti molto di più. Ma se ascoltate il mio allenatore, per lui non è mai abbastanza». Ride. Anche quando si tira in ballo la sua Fiorentina: «Quest’anno ci sarà da tribolare un bel po’». Ora pensa al prossimo avversario: il lussemburghese Gilles Muller, numero 23 del mondo. Ci ha perso tre volte su quattro, unico successo a Indian Wells nel 2013: «E’ uno duro da battere sul cemento. L’ultima volta nel 2015, sulla terra del Roland Garros, ero avanti due set e un break, ma a Parigi è più semplice. Temo il suo servizio, sempre difficile da leggere». In effetti, la stessa cosa l’ha detta anche Nadal, che ci ha perso a Wimbledon. Ma Paolino è uno che non molla mai.

Mentre Roberta Vinci sembra, lei sì, avere un po’ mollato. Dopp due fantastiche edizioni qui a Flushing Meadows (finale nel 2015 e quarti l’anno passato), i suoi Us Open si fermano al primo turno, eliminata da Sloane Stephen: «Ma lei è una tosta, ha fatto due semifinali negli ultimi due tornei». La sua classifica precipiterà al n. 81 (da 47), dietro a Giorgi e Schiavone. Roberta aveva iniziato il 2017 come 18, ma era uscita in fretta dalle 30. Quest’anno ha vinto la miseria di 10 partite contro 18 sconfitte ed è arrivata al massimo tre volte ai quarti. Un bilancio che deve far riflettere. In certi momenti sembra un rassegnata, colpa forse della stanchezza. Non pronuncia mai la parola ritiro, ma le escono frasi che fanno pensare: «Il tennis non è più la mia priorità. Quali sono? Divertirsi e stare bene. Ormai giocare comporta tanti sacrifici (…)

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Rafa e Roger, presenti! (Claudio Giua, repubblica.it)

Roger e Rafa, Rafa e Roger. Soltanto la rediviva Maria (Sharapova) si guadagna un posticino nelle chiacchiere di chi, tra un hot dog e un’insalata Caesar, spera che presto spiova sul Queens. Ma poi si torna lì, Rafa e Roger, Roger e Rafa: approderanno entrambi alla semifinale? riusciranno, prima di scontrarsi lì, a evitare i trabocchetti dei tanti Carneade alla Steve Darcis (cfr. Wimbledon 2013)? la loro epoca, che è anche quella di Murray e Djokovic, sta per finire?

Se in migliaia esprimono contemporaneamente il medesimo desiderio, qualcosa talvolta accade. Convogliando su Nadal e Federer l’attenzione del pubblico di Flushing Meadows e delle platee televisiva e digitale globali, ottengono per loro dagli dei pluvi l’esclusiva assoluta della seconda giornata degli Us Open, giocata sotto il nuovo tetto mobile dell’Arthur Ashe Stadium mentre la pioggia fredda e battente allaga gli altri campi. In mattinata e nel primo pomeriggio c’era stato appena il tempo per chiudere cinque match femminili, tra i quali la passeggiata (6-1 6-2) della numero 1 WTA Karolina Pliskova ai danni di Magda Linette e, nel campo principale già in versione indoor, la clamorosa eliminazione di Angelique Kerber, vincitrice qui e a Melbourne nel 2016: a batterla nettamente in due set (6-3 6-1), una giapponese di padre haitiano, 19 anni, con secondo passaporto americano, Noemi Osaka. Che se proseguirà, come credo, il suo percorso nello Slam d’America, meriterà nei prossimi giorni una breve biografia.

Poi, mentre alle tre il pubblico senza accesso all’Arthur Ashe imbocca, mestamente infradiciato, a Mets Willets Point gli ingressi della linea 7 della metropolitana in direzione Manhattan, tocca a Nadal, opposto al serbo Dusan Lajovic, rassicurare i suoi tifosi e i dirigenti dell’ATP e dell’USTA. La tensione si stempera dopo un’ora, quando il numero 1 al mondo finalmente costringe alla resa al tie break il numero 85, che s’era illuso di prendersi almeno il primo set in forza del proprio gioco scintillante e intelligente. I due successivi parziali (6-2 6-2) sono invece una veloce e utile sessione di fine tuning della preparazione del maiorchino. Rafa c’è.

Anche Roger c’è, ma quanta fatica. Sceso in campo quando in Italia è notte fonda, il numero 3 del mondo ha una prima mezz’ora affannata, che Frances Tiafoe, in total black Nike, cappellino di lana compreso, gestisce con intelligenza e forza. Figlio di un immigrato della Sierra Leone che faceva il tuttofare di un circolo di tennis di Hyattsville nel Maryland, 19 anni e 6 mesi, il numero 6 del ranking Race to Milan mostra il meglio del suo repertorio: la capacità di sparare vincenti da ogni posizione della metà campo, la velocità di esecuzione, l’efficacia del servizio, l’eccellente difesa in back, perfino qualche propensione al funambolismo. Dopo aver subito il 4-6, lo svizzero ritrova misura e ritmo mentre l’americano non riesce a mantenere la qualità del gioco che ha acceso l’entusiasmo dell’Arthur Ashe a inizio match. Il secondo e terzo set (6-2 6-1) si prendono un’ora esatta, quasi fosse la lezione di un maestro all’allievo talentuoso ma ancora tatticamente incerto.

Il quarto set è ancora più veloce: 24 minuti. Durante i quali, Tiafoe ripropone la felicità esecutiva  del primo set proprio quando Federer cala in precisione e determinazione. Soprattutto, le palle fiondate dall’americano tornano a a stamparsi a ridosso delle righe, sempre dentro. Finisce 1-6. Il quinto set pretende il massimo della concentrazione del più ammirato giocatore del secondo dopoguerra. Ottiene il tie break decisivo quand’è avanti 2-1, poi ritiene che gli basti tenere alta la percentuale al servizio per chiudere il match. Sbaglia: Tiafoe non molla e conquista di forza il proprio break sul 5-3 dopo che Federer ha clamorosamente sprecato un match point sotto rete. Il controbreak che vale il 6-4 e il secondo turno per Roger arriva tuttavia in tempo per liberare gli spalti prima di mezzanotte. La sensazione è che le condizioni delle schiena dello svizzero possano condizionarne il prosieguo del torneo.

Le modalità della sconfitta di Tiafoe confermano tutto il bene che si sta dicendo degli Under 21 approdati al tabellone principale degli Us Open, cominciati lunedì. In questo caso, le loro ottime prestazioni stanno galvanizzando gli organizzatori delle Next Gen Finals, in programma dal 7 all’11 di novembre alla Fiera di Milano con le cosiddette “regole veloci”, come quella del set che va a chi raggiunge per primo quota 4 game, con tie break sul 3 pari (…)