US Open 2017: tra assenze e incognite
Mancano solamente quattro giorni all’inizio dell’ultimo Slam della stagione, il primo dagli US Open del 2004 che non vedrà ai nastri di partenza Novak Djokovic e Stan Wawrinka, finalisti della scorsa edizione – non accadeva una cosa simile da Wimbledon 2002 con Rafter e Ivanisevic – senza contare anche le assenze di Kei Nishikori e Milos Raonic.
Proprio nell’edizione di Flushing Meadows di tredici anni fa vinse per la prima volta Roger Federer, che probabilmente è da considerare il favorito anche a quasi tre lustri di distanza dal suo primo trionfo negli States.
Eppure fino a un paio di giorni fa c’erano dubbi sulle condizioni della schiena del fenomeno svizzero, che però, appena arrivato a New York, ha rassicurato tutti dicendo che la sua schiena sta “molto, molto meglio” e che si sente “ancora come uno junior”, pronto ad inseguire il ventesimo titolo dello Slam della sua irrepetibile carriera. Open del Canada a parte, quest’anno ogni volta che Roger è sceso in campo in un torneo di alto livello, ha dimostrato un’evidente superiorità tecnica rispetto a tutti gli altri, motivo per cui è ancora da lui che bisogna ripartire per capire come potrà andare il torneo newyorchese, naturalmente senza trascurare Rafa Nadal.
Lo spagnolo è arrivato alla Grande Mela con tre sole vittorie post-Wimbledon e due sconfitte piuttosto preoccupanti contro Shapovalov e Kyrgios. Difficile trovare qualcosa di convincente e rassicurante in queste cinque prestazioni; i problemi, invece, sono emersi in modo piuttosto chiaro: posizione troppo arretrata in risposta, poca penetrazione con il dritto, rovescio meno incisivo rispetto allo swing primaverile sul rosso e difficoltà nel fare la differenza nei momenti importanti. Proprio quella che, una volta, era la sua specialità, soprattutto perché in quei frangenti era quasi sempre lui a decidere come giocare, a differenza di quanto visto tra Wimbledon e Cincinnati. Questo anche a causa delle difficoltà in risposta di cui sopra, mentre agli Australian Open – l’ultimo torneo sul cemento in cui ha giocato a un livello davvero alto – una delle chiavi per tornare grandi era stata proprio la capacità di alternare la posizione in ribattuta, specialmente nel match di quarti di finale contro Milos Raonic. Tuttavia, a New York Rafa salirà di condizione e giocare al meglio dei cinque set sarà una grossa arma che potrà sfruttare a proprio vantaggio, motivo per il quale non si può non metterlo in prima fila alla vigilia del torneo.
Subito dietro i due grandi favoriti, che peraltro potrebbero anche capitare nella stessa parte di tabellone, c’è Alex Zverev, reduce dalle due splendide vittorie a Washington e Montréal. Il tedesco sembra arrivato a uno stadio del suo processo di crescita così avanzato tale da renderlo pronto a vincere uno Slam in occasione dei prossimi Australian Open, con la certezza di essere molto competitivo già adesso. Per lui sarà estremamente importante gestire nel modo migliore i primi turni (Verdasco docet), che potrebbero nascondere insidie sia sul piano tecnico sia su quello mentale, con un carico di pressione cui far fronte che è destinato ad aumentare progressivamente. Il tedesco non sarà nella stessa metà di Federer, ragione per cui potenzialmente potrebbe sfidare in semifinale uno tra Nadal e Murray, o un altro contro cui sicuramente non partirebbe sfavorito. Non è da escludere che possa fare un grande exploit anche contro il nuovo numero uno del mondo, anche se forse i tempi non sono abbastanza maturi per pensare concretamente a una possibile vittoria finale. Ma ancora per poco.
Una delle incognite è invece rappresentata da Andy Murray, al rientro dopo i problemi all’anca che ne hanno condizionato il rendimento erbivoro e che lo hanno costretto a saltare tutte le US Open Series. Difficile capire quale possa essere il suo reale livello di gioco, ma affrontarlo potrebbe essere una grande occasione per chiunque lo affronti, specialmente dalla fine della prima settimana in poi. Un’alternativa più credibile è sicuramente quella rappresentata da Grigor Dimitrov, vincitore a Cincinnati e forte della testa di serie numero 7. Il bulgaro è al top della condizione fisica, sta giocando con grande lucidità e convinzione – fattore cruciale per affrontare al meglio i momenti clou delle sfide, in cui spesso è stato carente in passato – e sembra essere arrivato a un buon livello di maturazione anche dal punto di vista tattico. Anche per lui sarà importante vedere l’approccio al torneo, a cui arriva con la consapevolezza di poter reggere il confronto sul piano tennistico e fisico contro chiunque eccetto il miglior Federer, che sembra davvero avere tutte le armi per disinnescarlo anche in termini di personalità.
Per quanto riguarda il resto della troupe, invece, ci sono ancora meno certezze, specialmente se si pensa ai problemi sui campi rapidi di Thiem, in primo luogo figli di una posizione sul campo eccessivamente lontana dal rettangolo di gioco, e alla condizione deficitaria di Cilic, Goffin, Tsonga, Monfils e del Potro, tutti per motivi diversi. Il croato rientra dopo i problemi all’adduttore e non ha ancora giocato un match dopo la finale di Wimbledon, il belga è ancora lontano dal giocatore ammirato in primavera dopo l’infortunio alla caviglia, mentre Delpo e LaMonf si presentano, come quasi sempre, senza nessun tipo di certezza dal punto di vista fisico. Discorso diverso per Tsonga, protagonista di molte partite perse su pochi punti che hanno portato come conseguenza principale un notevole calo di fiducia nei propri mezzi, alla base del suo tennis e delle sue chance di poter giocare alla pari con i migliori.
Chi arriva agli Us Open con più ottimismo è Nick Kyrgios, finalista in Ohio quattro giorni fa nonostante il pessimo stato di forma degli ultimi mesi, condizionato dai problemi fisici, anca in primis, e personali, legati alla rottura con l’ex compagna Alja Tomljanovic dopo la sua “notte brava” (ma sarà vero fino in fondo?) a Londra. In queste settimane l’australiano ha confermato quanto visto più volte: se è in giornata, può essere davvero incontenibile, specialmente con il servizio e il dritto, ma la tenuta psico-fisica continua a fargli difetto e senza questa poter fare davvero bene in una manifestazione lunga due settimane, che si gioca tre set su cinque e in condizioni climatiche spesso complicate, non è nemmeno pensabile. La cura dei particolari, la condizione atletica, la continuità di rendimento e la capacità di soffrire al di là delle difficoltà, che siano fisiche o tattiche, sono tutte componenti essenziali per vincere un torneo così importante. E se tecnicamente ha tutto, o quasi, per stendere la concorrenza, quello che gli manca al momento sembra davvero difficile da acquisire, perlomeno nel breve periodo.